Sergio Romano ieri sul Corriere della Sera, dandogli atto d'aver creato la democrazia bipolare, ha però sentenziato che Silvio Berlusconi è «divenuto il maggior problema del Paese». Ohibò, io pensavo che il guaio principale dell’Italia fosse il debito pubblico, seguito dall’economia che non tira, da un sistema sanitario che non funziona (ma che si mangia gran parte delle risorse della nazione) e da quell’intreccio perverso di statalismo e assistenzialismo che ancora resiste in molti angoli della penisola. Dovendo identificare il vero freno che rallenta la corsa di questo Paese, avrei parlato del sindacato, uno dei più arretrati ma più potenti d’Europa, pronto a opporsi a qualsiasi riforma, da quella scolastica a quella delle pensioni, capace di condizionare in maniera pesante anche l’esigua minoranza riformista che sta a sinistra. Invece l’ambasciatore prestato alla scrittura preferisce vedere in Berlusconi l’ostacolo al cambiamento. Certo, sarebbe bello se fosse così. Lo dico senza ironia. Pensate: se bastasse dare un calcio al Cavaliere per far ripartire l’Italia, tutto sarebbe più facile. Capisco la riluttanza dei fan che lo adorano a sferrarglielo, ma se sbarazzarsi di Berlusconi fosse sufficiente a rimettere in carreggiata il Paese, a far decollare le opere pubbliche, a sviluppare la ricerca e a rilanciare l’economia, beh, io non avrei dubbi. Nonostante la simpatia che nutro per lui, col cinismo della necessità sarei il primo a congedarlo.
Si dà il caso però che, via il Cavaliere, non intraveda statisti in grado di fare quelle cose che lui non è riuscito a completare. O pensate davvero che Romano Prodi saprà tagliare la spesa sanitaria, affrettare i grandi lavori pubblici, sveltire gli studi e aumentare i brevetti? Fate un passo indietro e ripensate agli anni in cui il finto buono dell’Ulivo è stato a Palazzo Chigi: vi ricordate una riforma importante? Avete notizia di un atto degno di nota, a parte l’eurotassa che fu costretto ad appiopparci quando capì che la sua tecnica dilatoria di rinvio della moneta unica non trovava fiancheggiatori neppure in Spagna? Certo ci ha portato in Europa, ma la sua era una strada obbligata. Oppure vi è rimasto in testa qualcosa di quel che ha combinato a Bruxelles quand’era presidente della Commissione Ue?
Oggi che gran parte dei giornali stranieri sollecitano gli italiani a dare il benservito a Berlusconi, a me torna in mente la pagella del Financial Times a un anno dall’insediamento di Prodi: «Merita tre». Die Welt lo definì «un politico impacciato, dal linguaggio piatto», Libération «il peggior presidente dell’Unione Europea». E quando finalmente si schiodò dalla poltrona, Le Monde salutò il lieto evento sostenendo che «con lui l’Europa non era più stata in grado di essere rappresentata sulla scena internazionale». Se Berlusconi è il problema, Prodi sarebbe dunque la soluzione? Non credo. Con lui ritornerebbero i vecchi riti, gli antichi boiardi, la solita melassa che tutto avvolge ma che tutto lascia come prima, le larghe intese e le convergenze parallele di certo capitalismo e di certa sinistra: ossia nulla di buono per il Paese.
Una sola cosa riuscirebbe ottimamente a Prodi, ovvero – almeno in Italia – potrebbe godere di miglior stampa rispetto al Cav. I giornali nazionali sono sempre stati indulgenti con lui fin dai tempi dell’Iri. Grazie alle penne di cronisti turiferari, il Professore è riuscito dove molti hanno fallito: fingere di aver risanato l’ente delle vecchie Partecipazioni statali, quando al contrario fu solo capace di svendere il patrimonio dello Stato e di sperperarne le risorse. Ma il mito di carta di Prodi ha resistito e ancora resiste.
A Berlusconi invece il supporto cartaceo è mancato. Per cinque anni giornali e establishment hanno oscurato qualsiasi dato positivo, preferendo enfatizzare i lati negativi, sperando così di annebbiare anche la vista agli elettori. Mi auguro che non ci siano riusciti.
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