Cultura e Spettacoli

PERES Il geniale eterno secondo

Pochi, meglio di Michael Bar Zohar avrebbero potuto scrivere una biografia su Shimon Peres, vivente. Giornalista e autore di successo, la possibilità che Ben Gurion gli aveva dato di redigere la sua biografia e il materiale che aveva raccolto per scrivere quella di Yaakov Hertzog - uno dei più autorevoli diplomatici e consiglieri politici israeliani - lo favorivano in questo delicato compito. Ufficiale dei paracadutisti, ex portavoce del ministero della Difesa, autore di libri di spionaggio e polizieschi, conosceva i meccanismi del sistema militare industriale, mentre le ricerche fatte per alcuni suoi libri sul terrorismo e lo spionaggio lo rendevano accetto alla «comunità dell’intelligence» non solo israeliana.
Tuttavia per penetrare nei meandri partitici di Israele e cogliere le evoluzioni ideologiche e psicologiche dei suoi dirigenti gli occorreva un’esperienza particolare: quella del deputato eletto, battuto e poi rieletto alla Knesset di Gerusalemme, di membro del Comitato Centrale del partito laburista, la fondazione con Shimon Peres e Moshe Dayan del fallito partito bengurionista RAFI nel l965. Non lo ha poi danneggiato il fatto di vivere, come Peres, in quel complesso di appartamenti di via Oppenheimer a Tel Aviv dove per anni si è concentrata la nomenklatura di Israele.
Per scrivere la biografia che Peres gli aveva chiesto aveva posto due condizioni: libero accesso a tutti i suoi documenti inclusi i diari personali; non vedere la biografia se non dopo la pubblicazione. Il risultato è un libro apparso in ebraico, inglese, francese e ora in italiano: Shimon Peres. La biografia (UTET, pagg. 274, euro 22,50) rimarchevole per tre ragioni. La prima è la traduzione (di D. Bachi e M. Piperno Beer) che rende bene il brio con cui Bar Zohar trasforma l’intreccio degli avvenimenti e dei personaggi - ideologi, diplomatici, scienziati, generali, agenti segreti, affaristi - in un racconto degno della miglior letteratura poliziesca. La seconda ragione è che l’autore rivela senza pietà, sulla base di una solida documentazione, i lati oscuri dei suoi personaggi. Infine la terza qualità di questo libro consiste nel trattare con ammirazione unita a distaccata critica l’uomo che dopo Ben Gurion ha più di ogni altro influenzato le sorti di Israele. Si offre così al lettore una radiografia spietata della società politica israeliana, dei suoi meccanismi, delle sue lotte di potere, della grandezza e piccineria di molti dei suoi leader, dissacrando miti e distruggendo molti pregiudizi.
La figura di Shimon Peres ne esce con qualità umane e politiche grandi come le sue debolezze e i suoi errori. È l’uomo del kibbutz di cui Ben Gurion fa il proprio alter ego nella creazione della macchina militare israeliana. È il «civile» che per tutta la vita soffre di non aver portato l’uniforme in un Paese che perdona molto ai suoi militari, molto poco ai politici. È il grande funzionario che «inventa» (senza conoscere il francese) l’alleanza con la Francia contro Nasser nel 1956 e (senza conoscere il tedesco) quella con la Germania organizzando fra l’altro lo storico incontro fra Adenauer e Ben Gurion a New York il 14 marzo 1960.
Con l’aiuto dei francesi che spesso agiscono di nascosto dal governo e di personalità politiche tedesche che si assumono in segreto enormi responsabilità, Shimon Peres realizza contro l’opinione degli scienziati israeliani e dei suoi migliori amici la «folle idea» di sviluppare un’industria nucleare. Grazie alla Germania ottiene i crediti e le armi che permetteranno al suo amico Dayan (che poi lo abbandonerà) la vittoria nella guerra del 1967. Sviluppa una rete di cooperazione tecnica e militare con i leader africani che farà imbestialire il ministro degli Esteri Golda Meir. L’immaginazione e la capacità di realizzazione di Peres (su ordine di Ben Gurion crea una città in Galilea e un’altra nel Negev per garantirvi la presenza ebraica), la sua resistenza alle fatiche fisiche e intellettuali ha qualcosa di disumano. È una delle ragioni dell’invidia e dell’incredulità di cui è oggetto e di una costante opposizione ideologica e burocratica.
La sua immagine pubblica è quella di arrampicatore, menzognero e infido, organizzatore di complotti. Per anni, come funzionario deve lasciare a Ben Gurion la sua difesa. Non migliorerà entrando al Parlamento e nei governi di cui per due volte è premier. La sua onestà personale, nonostante i miliardi di dollari raccolti in segreto, non è messa in dubbio, ma il salvataggio dell’economia (che aveva raggiunto il 400 per cento di tasso di inflazione) sotto il governo Shamir non viene ricordata. Il fatto di vivere con moglie e tre figli in un appartamento piccolo-borghese continuamente visitato in segreto da personalità politiche e culturali di fama mondiale, aumenta i sospetti. In queste quattro stanze Peres si chiude per leggere con la fame dell’autodidatta i libri di cui si parla. La sua brama di apparire un intellettuale à la page lo fa deridere. È il suo tallone d’Achille in una società nevrotica, sospettosa in cui il potere democratico è condizionato da quello militare. Altro suo difetto è la vanità. Uomo dei segreti, non mantiene la promessa di tacere sull’accordo strappato a re Hussein che gli toglierà il saluto e darà in seguito a Rabin il merito dell’intesa.
Rabin considera Peres un avversario. Non gli perdona di aver organizzato contro il suo giudizio il salvataggio degli ostaggi rapiti dai palestinesi in un aereo Air France dirottato in Uganda. Il taciturno premier Shamir, con cui Peres divide il potere per quattro anni, lo considera infido, lo disprezza, rovina un accordo segreto con la Giordania che avrebbe forse evitato il ritorno di Arafat in Palestina. Questo ritorno ha fruttato a Peres e a Rabin il Nobel, ma li ha bollati come nemici dei coloni (che entrambi avevano aiutato) portando il secondo a una tragica morte. Peres avrebbe forse potuto evitare tutto questo provocando la caduta del governo Shamir di cui era odiato ministro degli Esteri e facendosi rieleggere primo ministro.
Per il suo biografo fu l’errore della sua vita politica, come il rifiuto di andare alle elezioni anticipate per evitare l’impressione di diventare primo ministro sulla scia dell’assassinio di Rabin. Due decisioni che rovineranno la credibilità sua e del suo partito, invischiandolo nel fallimento degli accordi di Oslo di cui era stato responsabile. Quando nel 2005 Peres lascerà il partito laburista per entrare in quello fondato da Sharon - Kadima - questo gigante della politica israeliana si vedrà una volta di più relegato al ruolo di «secondo» e confermato come opportunista sempre perdente. Amos Oz, suo amico e ammiratore, spiega le contraddizioni del suo carattere con il bisogno infantile di farsi amare. Per un uomo politico è la ricetta per non farsi rispettare. Tuttavia di fronte al baratro morale in cui la dirigenza israeliana era caduta - con un presidente disonorato, vari ministri e il premier Olmert accusati di peculato - oltre alle delusioni provocate dalla guerra del Libano, il Parlamento lo elegge quasi all’unanimità alla presidenza dello stato il 13 giugno 2007.
È una carica formale, priva di potere. In tre mesi Peres la trasforma in laboratorio di progetti. Lancia l’idea di creare una «Valle della Pace» in Cisgiordania in cui coinvolge il Giappone e la Turchia, mettendo insieme 100 milioni di dollari per realizzarla. Dice alla stampa che 100mila posti di lavoro per i palestinesi serviranno meglio la pace che 50mila fucili. Vuole la partecipazione attiva di Israele nell’Unione mediterranea proposta dal presidente francese, edizione riveduta e corretta del suo progetto fallito per «un nuovo Medio Oriente». «Missione impossibile» per un uomo di 84 anni per il quale «l’età non è un delitto».

Chi vuole comprendere Israele legga questo libro; chi vuole sapere come un uomo può influenzare - nel bene e nel male - la storia rifletta su quella di Shimon Peres.

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