Montreal Lewis Hamilton, wanted. È più o meno questo il cartello non scritto ma ormai stampato a caratteri cubitali nella testa della maggior parte dei pilota che hanno a che fare con lui. Tanto più dopo ieri. E dire che monsieur Jean Todt, presidente della Fia, aveva appena perdonato il talento inglese dopo lettera di scuse per le malefatte agonistiche di Montecarlo e quelle verbali in cui era inciampato tentando di fare lo spiritoso. «Mi puniscono sempre perché sono nero...» aveva più o meno detto.
Sei gare di stop, questo gli avrebbe comminato Todt se non fosse arrivata limplorante missiva. Fatto sta, Hamilton (nella foto Ap) per tre giorni è stato bravissimo, tranquillissimo, pacatissimo. Però Lewis è un pilota giovane ma vecchia maniera: di quelli che al semaforo verde le provano tutte ballando sempre sul confine fra manovra lecita e illecita. E così anche stavolta. Pronti e via si è infilato allinterno di Webber e lha toccato innescando il testacoda del povero australe. E uno. Poco dopo, in un delirio di tentativi di sorpasso lottando con Schumi ma anche e soprattutto con il compagno di squadra Button, è finito come un sandwich tra muro e monoposto. E due. E però forse non è colpa sua. Dopo essere stato catechizzato dai vertici McLaren, dirà: «Mi scuso tanto con Webber, ho sbagliato...
Pericolo pubblico? Hamilton di nuovo nei guai: stavolta proprio con Jenson
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