Politica

Le pericolose guerre fra bande

Telecom e Alitalia, due vicende industriali che possono essere un’opportunità per il Paese. Il rischio che si corre non è tanto collegato all’interesse della politica, a nostro giudizio legittimo in vicende di questa portata, quanto alla confusione delle voci dei tanti protagonisti. Politici e no. Partiamo dai sacri principi chiamati in causa da ogni parte, il mercato, il rapporto pubblico-privato e l'italianità. Il libero mercato è garanzia delle libertà personali e collettive ma al suo interno si muovono spesso forze ed interessi che puntano ad avere, nei vari settori, posizioni dominanti e quindi con obiettivi, di fatto, illiberali.
Antitrust e Consob sono essenziali ma possono non essere sufficienti a garantire concorrenza e trasparenza. Infine il mercato è neutrale rispetto alla natura della proprietà; pubblica o privata che sia. La riprova sta nel fatto che il processo di internazionalizzazione dell'economia italiana viaggia prevalentemente sulle ali dell'Eni, dell'Enel e della Finmeccanica, tutte società con un azionista di riferimento pubblico che hanno fatto le maggiori acquisizioni all'estero (Endesa, Agusta, Westland, Nuova Viesgo). I grandi privati si sono misurati sulla ristorazione (Autogrill) e sui giochi (Lottomatica), settori redditizi ma certamente non strategici mentre per l'Unicredito più che di acquisizione si è trattato di una fusione con la Hypo Vereinsbank (i maggiori azionisti con quote intorno al 5% sono Cassa di Risparmio di Torino, Cariverona, Carimonte e il colosso tedesco delle riassicurazioni Munch Re). Naturalmente il processo di internazionalizzazione della nostra economia è più complesso e coinvolge anche le medie imprese ma il pubblico riesce ad essere un co-protagonista di rilievo.
L'italianità, infine, non è una sciocchezza come dice qualcuno perché se non vogliamo essere solo un Paese produttore per conto terzi e un mercato di consumo, il nostro capitalismo pubblico e privato deve essere un protagonista nel riassetto del capitalismo europeo ed internazionale in particolare nei settori a tecnologia avanzata e nella finanza. E veniamo alle due questioni specifiche. La guerra fatta per cacciare Tronchetti Provera dalla Telecom al di là dei suoi personali errori ha dell'incredibile. Il copione è stato quello solito. Campagne di stampa velenosissime, indagini giudiziarie con scenari da grande fratello, depressione del titolo Telecom in Borsa, intralcio su ogni iniziativa internazionale (Murdock, Telefonica). E come sempre chi ne ha fatto le spese sono stati i piccoli risparmiatori che in diciotto mesi hanno visto deprezzato quel titolo per il quale oggi viene offerto dalla AT&T e dalla messicana Movil lo stesso valore del maggio 2005 (il 35-40% in più dell'attuale).
Tronchetti ha capito che l'establishment politico-economico lo voleva far fuori ed ha fatto l'unica cosa possibile: iniziare una trattativa con due grandi realtà industriali una delle quali, la AT&T, era già stata scelta dal governo Prodi, ministro dell'Industria Bersani, come socio industriale al momento della privatizzazione di Telecom nel 1998. Una presenza pubblica italiana (Cassa Depositi e Prestiti) non è incompatibile con soci industriali come AT&T come non lo fu nel 1998 quando il Tesoro italiano restò nella Telecom privatizzata al 4%. Non sappiamo, infatti, quale vantaggio potrebbe apportare un'offerta delle sole banche italiane a fronte di un'accoppiata AT&T, Movil e Cassa Depositi e Prestiti se non aggregasse un socio industriale come Mediaset, l'unica realtà italiana capace di offrire grandi sinergie con Telecom. Lo stesso ragionamento vale per l'Alitalia. L'arrivo, tra le altre, di una proposta come quella di Aeroflot può aprire all'Alitalia opportunità in quella parte del mondo dove risiedono due terzi dell'umanità che crescono ad un ritmo del 9% l'anno e che rappresentano la più grande occasione di espansione nel mercato del trasporto aereo.
Anche qui, però, la permanenza di una presenza pubblica nell'azionariato e l'eventuale aggregazione di qualche altro partner industriale, italiano o straniero, consentirebbe di coniugare sviluppo, internazionalizzazione e italianità nel destino dell'Alitalia, così come la proposta Intesa-Airone-Lufthansa.

Ragionamenti di questo genere possono anche non essere condivisi ma ciò di cui l'Italia non ha bisogno sono le guerre fra bande che affonderebbero definitivamente la nostra ancora fragile economia.
Geronimo

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