Il Perugino fu maestro (e poi allievo) di Raffaello

Un padre amorevole, un apprendistato intenso. E l'immediata fioritura di un genio.

Continua il centenario raffaellesco (1520), mentre ci si avvia al centenario di Perugino (1523). A Urbino, in Palazzo Ducale, nel nome del padre Giovanni Santi, si celebra il maestro di Raffaello, che fu appunto il Perugino. Ma si illumina soprattutto, attraverso alcuni capolavori, quel momento, fra 1470 e 1500, in cui, dopo l'arrivo della Pala di Piero della Francesca per la Chiesa di San Bernardino, mausoleo dei duchi, gli artisti tra Umbria, Marche e Toscana cercano una strada nuova, una lingua di emozioni e sentimenti che nessuno saprà interpretare meglio di Raffaello. Ma a ispirarlo e a indirizzarlo fu proprio Perugino.

Nell'edizione delle Vite del 1568, Vasari entra nella sfera affettiva del padre e del figlio, e descrive quanto amore e quanta arte Giovanni Santi abbia trasmesso: «E cresciuto che fu cominciò a esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte molto inclinato, di bellissimo ingegno; onde non passarono molti anni che Raffaello, ancor fanciullo, gli fu di grande aiuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d'Urbino. In ultimo, conoscendo questo buono et amorevole padre che poco poteva appresso di sé acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino il quale, secondo che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo; per che andato a Perugia, non vi trovando Pietro, si mise, per più comodamente poterlo aspettare, a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tornato Pietro da Roma, Giovanni, che persona costumata era e gentile, fece seco amicizia e quando tempo gli parve, col più acconcio modo che seppe, gli disse il desiderio suo. E così Pietro, che era cortese molto et amator de' belli ingegni, accettò Raffaello; onde Giovanni andatosene tutto lieto a Urbino e preso il putto, non senza molte lacrime della madre che teneramente l'amava, lo menò a Perugia, là dove Pietro, veduto la maniera del disegnare di Raffaello e le belle maniere e' costumi, ne fé quel giudizio che poi il tempo dimostrò verissimo con gl'effetti. È cosa notabilissima che, studiando Raffaello la maniera di Pietro, la imitò così a punto et in tutte le cose che i suo' ritratti non si conoscevano dagl'originali del maestro e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere, come apertamente dimostrano ancora in San Francesco di Perugia alcune figure che egli vi lavorò».

Era il 1494. Dobbiamo quindi ritenere che, in un periodo imprecisato fra i 7 e gli 11 anni, se non forse ancor prima, Raffaello sia stato nella bottega del padre. A partire dal 1495 possiamo cercare sue tracce nei dipinti di Perugino, in particolare nel Gonfalone della giustizia nella Galleria nazionale dell'Umbria che ha fornito i prestiti più importanti per consentire la mostra di Urbino. E ancor più nella equilibratissima pala d'altare per la chiesa di Santa Maria nuova a Fano, concepita nel 1497. Qualche anno prima (fra 1488 e 1489) Giovanni Santi e Perugino si erano incrociati nella stessa chiesa, il primo con una Visitazione, il secondo con una Annunciazione. Da quel momento deriva la fiducia con la quale Perugino accoglie il giovane Raffaello nella sua bottega, fra gli 11 e i 18 anni. Prosegue il Vasari: «per il che Pietro per alcuni suoi bisogni tornato a Fiorenza, Rafaello partitosi da Perugia con alcuni suoi amici a Città di Castello fece una tavola in Santo Agostino di quella maniera, e similmente in S. Domenico una di un Crocifisso, la quale se non vi fosse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Rafaello, ma sí ben di Pietro».

La mostra in corso a Urbino affianca Giovanni Santi al Perugino, entrambi sotto la luce della pala di Piero della Francesca in San Bernardino. Perugino era certamente, fra i grandi, il pittore più vicino a Piero della Francesca, e questo dovette agevolare il rapporto fra i due pittori che la mostra cerca di intercettare nel suo momento germinale. Ma ciò che la rende utile e suggestiva è la presenza di opere antecedenti l'incontro tra Perugino e Raffaello, e anche successive, in un arco di tempo che va dal 1450, con le meravigliose prove del Rinascimento umbratile di Giovanni Boccati e di Bartolomeo Caporali, al 1535. A Caporali è riferita un'opera meravigliosa: la Madonna con il Bambino e angeli entro una ghirlanda marmorea, che è uno degli enigmi di quella stagione in Umbria. I due Caporali in mostra sono infatti parzialmente affini, ma questo apre la strada, percorsa peraltro anche dai pittori di Camerino, a evidenti connessioni con l'arte del nord Italia, in particolare quella padovana, per l'evidente consonanza con il gusto classico e archeologico di Andrea Mantegna. È certamente tra le opere più sorprendenti della mostra su una pista che certo non porta a Raffaello. Notevolissima è anche la presenza, ma antelucana rispetto a Raffaello, di Bartolomeo della Gatta con il suo Gonfalone di San Rocco per la Fraternita dei laici di Arezzo, documentato al 1479, e forse incrociato dal curioso Raffaello adolescente. Quando Raffaello, nel 1504, ha raggiunto la sua piena e meravigliosa prima maturità, denunciata dallo Sposalizio di Maria per la chiesa di San Francesco a Città di Castello (ora a Brera, dove dialoga con la pala urbinate di Piero della Francesca), ispirato ai meravigliosi prototipi di Perugino nella Cappella Sistina (Consegna delle chiavi) e nel Duomo di Perugia (Sposalizio, ora al Museo di Caen), dominati da un'architettura a pianta centrale che governa il ritmo prospettico della composizione, Perugino assiste al compimento del suo magistero e avverte l'ineffabile spirito di armonia che Raffaello imprime di qui in avanti ai suoi capolavori. Per quindici anni Perugino dovrà convivere con la sua creatura, assumendone l'indiretto magistero come per contrappasso. Così, a suo modo, si raffaellizza; e la mostra lo documenta con la complessa elaborazione, in diversi stadi, del Polittico di Sant'Agostino: lo vediamo nel tondo con l'Arcangelo Gabriele e nella varia, e all'apparenza non compiuta, predella. Questa contaminazione tra il maestro e l'allievo, che rovescia le premesse, si riflette anche nei pittori che si sono formati nella bottega di Perugino, inevitabilmente tentati dal linguaggio di Raffaello.

Lo si vede nella Madonna degli alberelli di Eusebio da San Giorgio (1508-1509), come nella lunetta della pala della Compagnia di Nostra Donna di Sant'Antonio Abate in porta Sole (1510) del più resistente e arcaico Mariano di ser Austerio, nei San Giovanni Evangelista e la Madonna dolente e nella Santa Maria Maddalena e San Sebastiano, di Giannicola di Paolo, tardivamente perugineschi, e nella intrigante e moderna pala di Giovanni di Pietro detto lo Spagna della Collezione Perkins, ormai più raffaellesca che peruginesca, come indica la meravigliosa rappresentazione della Santa Caterina.

Siamo nel 1516. Raffaello morirà nel 1520. Soltanto a lui ormai fa riferimento Berto di Giovanni, esplicito manierista; mentre un altro perugino, Bernardino di Mariotto, con il suo sofisticatissimo grafismo che non ardisce farsi manierismo, testimonierà ancora nel 1533, nella sua solenne Pala degli Olivetani, il magistero di Perugino. In mostra è anche una Madonna con il Bambino di Francesco Francia, già in collezione Costabili a Ferrara (ora nella Fondazione Cavallini Sgarbi). Se ne avverte l'aurorale raffaellismo che, nel Francia, si manifesta come una malattia senile, se dobbiamo prestar fede alle parole di Vasari, romanticamente trasfigurate dal Wackenroder, che sembrano dar ragione alla formula «bello da morire». Diversamente da Giovanni Santi, il Francia non aveva coscienza dei propri limiti, ma dovette riconoscerli davanti ai capolavori maturi di Raffaello, dopo il 1515, anno dell'arrivo a Bologna dell'Estasi di Santa Cecilia: «Di gran danno fu sempre in ogni scienza il presumere di sé, e non pensare che l'altrui fatiche possino avanzar di gran lunga le sue; e per natura e per arte avere da 'l cielo non solamente le doti eccellenti e rare, ma ancora prerogative di grazia, di agilità e di destrezza nell'operare molto maggiori che altri non ha...

E quanti si sono trovati che nel vedere l'opere d'altri, per il dolore del rimanere a dietro, hanno fatto la mala fine? Come è opinione di molti che intervenisse al Francia Bolognese, pittore ne' tempi suoi tenuto tanto famoso, che è non pensò che altri non solo lo pareggiasse, ma si acostasse a gran pezzo a la gloria sua. Ma vedendo poi l'opere di Raffaello da Urbino, sgannatosi finalmente di quello errore, ne abbandonò e l'arte e la vita».

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