Pescara nella bufera: storia di corna e manette diventa guerra tra giudici

Il sindaco di Montesilvano denunciò che su di lui indagava il marito della sua amante. Non fu ascoltato. Al Csm lo scontro tra il procuratore Trifuoggi e il suo vice Mennini

Pescara nella bufera:  
storia di corna e manette 
diventa guerra tra giudici

nostro inviato a Montesilvano

Se il marito della vostra amante fosse un poliziotto impegnato a indagare su di voi, a mettervi sotto controllo i telefoni, riuscendo infine pure ad arrestarvi, dormireste sonni tranquilli o nutrireste perplessità sulla genuinità delle indagini? E, soprattutto, protestereste con chi, a livello di procura, coordina questi accertamenti senza porsi il problema di una incompatibilità resa evidente dalle trascrizioni delle intercettazioni? A qualche ora dall’inizio di un processo di provincia che si preannuncia scoppiettante, velenosi interrogativi vengono sollevati da amici e colleghi di partito dell’abruzzese Enzo Cantagallo, ex sindaco Pd di Montesilvano, arrestato nell’inchiesta Ciclone che nel 2006 decapitò la giunta locale e che oggi vede 36 persone alla sbarra (lui compreso) per reati collegati all’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione.

In questa sede non interessa far le pulci a un’inchiesta che sembra predestinata a scontrarsi con l’assenza di prove certe (gli assegni della presunta corruzione di un imprenditore non sono mai stati intascati dal primo cittadino perché finiti altrove, ad altro politico). L’interesse deriva da quanto emerso in sede di Csm, dove questa storiaccia di corna e di manette è stata oggetto di un pruriginoso procedimento disciplinare a carico di un magistrato (Pietro Mennini, ex aggiunto a Pescara, oggi procuratore capo di Chieti) assolto dall’accusa d’aver brigato per favorire il sindaco Cantagallo e il suo capo di gabinetto Lamberto Di Pentima per estromettere il capo della Squadra Mobile (...) «facendosi reiteratamente e insistentemente portatore presso il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi (quello del clamoroso fuorionda con Gianfranco Fini, ndr) - si leggeva nel capo di imputazione al Csm - di voci e insinuazioni circa una presunta relazione sentimentale esistente tra il sindaco Cantagallo e la consorte di (...).

Rappresentava in proposito che la cosa era di dominio pubblico donde la incompatibilità (del capo della Squadra Mobile, ndr) a proseguire l’attività».
Come detto tutto ha inizio nel 2006, ma che qualcosa non tornasse in questa telenovela lo si scopre solo il 26 giugno scorso allorché il quotidiano locale il Centro riporta queste frasi di Cantagallo: «Le centinaia di telefonate fatte col capo di gabinetto sulle indagini in corso erano motivate dal fatto che ero terrorizzato perché le indagini erano svolte dal capo della Squadra Mobile (...). Per questo durante le indagini ho voluto incontrare il procuratore Trifuoggi, il prefetto Lalli e il questore Consiglio per comunicare che non poteva indagare. Finita la fase dell’udienza preliminare, per evitare di minarne la serenità, documenterò per quale motivo sostengo questa tesi».

Quella fase è passata, e quel che adesso rischia di venire fuori non è altro che il sequel di quanto parzialmente emerso al «processo» a palazzo dei Marescialli, e di quanto in passato riferito da Cantagallo a proposito delle pressioni per far assumere la moglie del capo della Mobile ricevute - sempre a suo dire - anche dal marito della sua futura amante. «Dopo la mia elezione a sindaco nel giugno 2004 - si lamentò Cantagallo - trovandomi letteralmente accerchiato alla fine optai per l’assunzione». Sempre a dar retta alla sua vecchia versione dei fatti, di lì a poco la contrapposizione con la neo-comandante dei vigili urbani sfociò in una relazione extraconiugale. Almeno fino ad aprile 2006 quando iniziarono a girare lettere anonime, anche in questura.

Fu l’inizio della fine. Nel ricordare che «numerose volte il capo della Mobile chiese il mio arresto», Cantagallo ha spesso raccontato di aver provato a rappresentare a questore, prefetto e procuratore capo di Pescara la situazione di incompatibilità di chi indagava sul comune di Montesilvano. «Solo il prefetto concordò che se le cose stavano effettivamente così, il capo della Mobile non avrebbe potuto nemmeno prendere un caffè a Montesilvano». E il procuratore Trifuoggi? «Mi ricevette il 27 settembre, mi ascoltò ma non espresse alcuna valutazione al riguardo». Tant’è che lasciò il poliziotto al suo posto, nonostante lo stesso (è scritto nel dispositivo del Csm) presentò domanda di astensione dopo aver ascoltato quel che gli indagati dicevano, di lui e della consorte, al telefono.

Successivamente veleni e sospetti di «intromissioni» nell’inchiesta hanno portato l’attuale procuratore di Chieti a difendersi al Csm. La sua colpa? Aver concordato con Cantagallo e col suo capo di gabinetto della necessità di parlare immediatamente dell’«incompatibilità» al suo diretto superiore. Personalmente, infatti, Mennini aveva anticipato al collega Trifuoggi la visita del sindaco di Montesilvano. È finita che son volati gli stracci fra magistrati e che di tutto questo pastrocchio chiederà ora conto al Guardasigilli un’interrogazione parlamentare.

Da oggi ogni giorno è buono per rivelare in aula la verità, tutta la verità, extraconiugale e giudiziaria. Per cominciare occorrerà inquadrare il ruolo della moglie dell’ormai ex capo della mobile di Pescara (trasferito al Nord): sarà testimone della difesa o dell’accusa?

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