Petacchi: "Una dedica? Sì, per mio figlio..."

Il diario del Giro. Lo spezzino piazza lo sprint vincente e spiazza i giornalisti retrò: "È per mia moglie". E il Giornale batte la tradizione scegliendo l’auto numero 17: non la voleva nessuno

Petacchi: "Una dedica? Sì, per mio figlio..."

nostro inviato a Trieste

Caro diario, devo registrare da Trieste un evento storico: un ciclista vince la corsa e non la dedica a sua madre. Per i cultori del bianco e nero, che da settimane ci stanno rompendo i santissimi con le gloriose tradizioni del ciclismo antico, lo choc è pesante. Questa umanità seppiata dentro, che vive il presente a colpi di Orio Vergani e di Alfonso Gatto, che rimpiange Binda e compiange Coppi, che considera epica persino l'era di Massignan, tanto gradirebbe ammirare Petacchi festeggiare la sua resurrezione pronunciando la gloriosa frase di sempre, «ciao mama sono arivato uno».
È questo il ciclismo che piace ai seppiati dentro, è questa l'idea che cullano da sempre, ignari di come nel frattempo il mondo abbia giustamente camminato in avanti, aprendo la strada ai ragazzi d'oggi, con i loro modi, i loro difetti e le loro virtù. Immagina dunque il trauma quando Petacchi, non appena gli lasciano tirare il fiato, lancia la sua personalissima rivoluzione: «Sono felice, questa è una vittoria molto importante per me. La dedico alla mamma di mio figlio». È il modo sommesso e un po' patetico, chiamiamolo pure il modo Petacchi, di lanciare il sasso nella vetrata. Per questo sport, un cambiamento epocale: dalla madre alla moglie. Al momento, il massimo possibile, perché la cappa del reducismo e l'egemonia dei seppiati dentro risultano ancora soffocanti. Qui sembra di vivere su un altro pianeta, fermo al 1960. Quando vogliono fare i moderni si spingono fino a Moser e Saronni, ma solo per avventura. Poi tornano regolarmente a Girardengo e a quella volta che Magni scalò il San Luca con la clavicola rotta, stringendo fra i denti una striscia di stoffa legata al manubrio.
Se Cavendish vince la Sanremo, non interessa sapere chi sia Cavendish: interessa solo sapere se è il nuovo Poblet o il nuovo Marino Basso. Così siamo messi. E dire che questo sport glorioso e intramontabile, per i casi della storia, sta diventando il più moderno di tutti: in giro per il mondo, da Obama a Pechino, non si fa che parlare della bicicletta come veicolo centrale per curare il pianeta e la salute umana del domani. Domani? Vaglielo a spiegare, ai seppiati dentro, che cosa significa domani. Sul loro vocabolario esiste solo l'altro ieri.
GIRO ESTREMO
Caro diario, devi sapere che il mio personalissimo Giro sarà una prova estrema di sopravvivenza: viaggio sulla macchina stampa numero 17. Ho accettato il sinistro numero dopo il lungo tira e molla che ha paralizzato alla vigilia l'organizzazione del Giro. Nessuno se la sentiva di incollarsi sulla vettura il 17. L'ultimo a declinare la richiesta, dopo una desolante procedura di toccamenti, l'amico Walter Gallone, inviato del Messaggero. Non se l'è sentita. Il suo laconico commento: «Già ho i miei problemi, non voglio andarmene a cercare altri». Rispettabilissimo. Però qualcuno doveva pure offrirsi. Così, eccomi qui sulla mia Skoda Octavia, fornita dal fornitore ufficiale del Giro, assieme al collega Pier Augusto Stagi, con la testata Il Giornale e il numero 17 sui vetri. Sarà una sfida nella sfida, anche se forse andrebbe cambiata almeno una consonante. Da qui a fine maggio, tutti i contrattempi - al Giro, mediamente, mille al giorno - avranno una causa precisa. Già ci chiamano «Survivor». Sarà durissima. Immagino per esempio il nostro arrivo a Napoli, tra due ali di folla che brandiscono cornetti e ferri di cavallo, in un fuggi-fuggi di gatti neri colti dal panico. Però penso che troveremo facilmente parcheggio.
GIRO DI SCOMMESSE
Scoperto sul palco del Processo un clamoroso Giro di scommesse clandestine. Non servono lavori di intelligence e intercettazioni ambientali. Sono gli stessi protagonisti dell'oscura attività a spiattellare tutto in televisione.

Uno dei personaggi chiave, tale Gigggetto Sgarbozza da Grottaferrata, vuota il sacco davanti all'opinione pubblica: «Devo 50 euro ad Auro Bulbarelli: ieri sera io avevo scommesso su Cavendish, lui su Petacchi». In attesa di chiarire le singole responsabilità, almeno è finalmente chiaro perché questa brava gente sia presente al Giro d'Italia.

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