Il petrolio come l’11 settembre

E se fosse il petrolio la vera arma di distruzione di massa in mano alle teocrazie mediorientali per sottomettere gli infedeli occidentali? Sì, d’accordo, mettiamo pure in conto l’esaurimento delle riserve di combustibili fossili, l’accresciuto fabbisogno energetico delle economie emergenti, gli sprechi, la speculazione, tutto quello che volete. Ma sarebbe da stolti non scorgere, dietro l’inspiegabile, tumultuosa escalation dei prezzi di gasolio e benzina (rispettivamente +6,8% e +5,4% su base mensile), la prosecuzione con altri mezzi della guerra dichiarata l’11 settembre 2001 contro la civiltà giudaico-cristiana.
Non credo che Mahmud Ahmadinejad si stia limitando ad arricchire l’uranio. L’impresentabile ingegnere eletto tre anni fa alla guida dell’Iran, seconda nazione al mondo dopo l’Arabia saudita per riserve petrolifere, sarà pure intenzionato a fabbricarsi in casa l’atomica. Ma già adesso gli basta chiudere il rubinetto del greggio per regolare la natalità dall’Europa fino alle Americhe.
È la bomba demografica che farà implodere l’Occidente. Se le famiglie italiane, ormai ridotte al figlio unico, non ce la facevano ad arrivare a fine mese col petrolio a 70 dollari al barile, ora che costa il doppio ce la faranno sempre meno. Finiranno per soccombere. Mi si obietterà che gli immigrati pagano la benzina quanto la paghiamo noi e sono meno ricchi, per cui dovrebbero essere ancor più oculati nel programmare le gravidanze. Rispondo: ma gli extracomunitari non disdegnano all’occorrenza la bicicletta, sanno ancora arrangiarsi senza doppi e tripli servizi e i loro figli non hanno le pretese dei nostri, cresciuti col culo nel burro, griffati Dolce & Gabbana, videodipendenti da cellulari di ultima generazione e monitor al plasma. E infatti continuano a riprodursi che è una meraviglia. Sostate in un pronto soccorso pediatrico, com’è capitato a me di recente, e ve ne renderete subito conto: il rapporto fra bambini italiani e stranieri, calcolato in un’ora e mezzo, è stato di 1 (mio figlio) a 12.
Per sbarcare il lunario, i nostri connazionali non soltanto si astengono dal procreare ma sono anche costretti a orientarsi verso prodotti a basso prezzo che arrivano da Paesi, come la Cina, già affamatissimi di energia proprio per poter tenere testa a questa crescente domanda. Un paradossale circolo vizioso che farà lievitare ancor di più le quotazioni del petrolio.
Nel 2006 c’eravamo illusi che Ahmadinejad puntasse soltanto ad abbattere il monopolio del Nymex di New York e dell’Ipe di Londra, i due principali mercati mondiali dei carburanti, inaugurando a Teheran l’Iranian oil bourse, dove il brent è trattato in euro anziché in dollari. Errore. La sua politica dei prezzi persegue una strategia di lungo periodo.
È apprezzabile lo slancio con cui il presidente George Bush, nella conferenza stampa tenuta al termine della sua visita a Roma, s’è autoassegnato il compito di «fare una legge per incoraggiare l’estrazione di petrolio negli Stati Uniti, perché il nostro Paese possa diventare produttore e non più solo consumatore». Peccato che gli Usa controllino meno del 2% delle riserve mondiali e gli Stati occidentali arrivino tutti insieme a malapena al 4%, mentre 14 Paesi musulmani (Arabia saudita, Irak, Kuwait, Emirati arabi, Qatar, Yemen, Libia, Nigeria, Algeria, Kazakistan, Azerbaigian, Malesia, Indonesia e Brunei) detengono il 76% dell’oro nero ancora imprigionato nelle viscere della Terra. Dunque, di che sta parlando l’amico George?
La verità è che all’improvviso gli americani, abituati a pagare la benzina poco più dell’acqua minerale, si ritrovano col serbatoio asciutto e devono svendere le case perché non riescono più a onorare la rata mensile del mutuo. Gli italiani seguono a ruota. Allora qualcuno mi spieghi perché a una coppia nostrana, già di suo poco incline a prolificare, dovrebbe venir voglia di mettere in cantiere un figlio col carburante a 1,55 euro il litro, le bollette di luce e gas alle stelle, l’inflazione al 3,7% (la più elevata da 12 anni a questa parte), mezzo chilo di spaghetti aumentato del 20%, un chilo di pane del 13% e un litro di latte dell’11%.
Magari sarà dipeso dallo sciagurato ’68, dalla pillola, dall’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, dall’eclissi dei famosi «valori», però è un fatto che la fecondità nel nostro Paese guardacaso cominciò per la prima volta a declinare proprio con la crisi petrolifera del 1973 e l’inflazione che ne derivò. Alla vigilia dell’austerity il tasso di fertilità era del 2,7%. Oggi è dimezzato: 1,29%. Significa che 100 coppie, cioè 200 genitori, mettono al mondo 129 bambini: poco più del figlio unico. Anche ammesso che riuscissimo a invertire la tendenza alla crescita zero, nella migliore delle ipotesi servirebbero 60 anni per riequilibrare la situazione. Non va meglio nel resto d’Europa, dove il calo è stato pressoché analogo: dal 2,66% all’attuale 1,3%.
Per completare il desolante panorama è sufficiente uno sguardo al quoziente di natalità, cioè al rapporto fra numero dei nati vivi e popolazione residente: altissimo nei Paesi di religione islamica in special modo africani (guida la classifica il Niger, con 50,16 nascite ogni 1.000 abitanti), bassissimo in Occidente. L’Italia, con appena 8,54 nascite, figura addirittura quint’ultima in classifica, al 213° posto. Riescono a far peggio di noi solo Andorra, Germania, Giappone e Hong Kong.
Stando così le cose, non ha davvero senso parlare di un’inversione di tendenza, come sembrerebbero accreditare i dati Istat sulla ripresa della natalità nell’ultimo quinquennio. Già passare da 530.000 a 560.000 bimbi rappresenta un successo irrilevante, se si pensa che mezzo secolo fa le nascite sfioravano il milione di unità l’anno. Se poi si considera che il trend è tornato positivo solo per effetto dei figli messi al mondo dagli immigrati (arrivati all’11,4% del totale, con un incremento del 629% negli ultimi 12 anni), si avrà la conferma che la bomba demografica è non solo innescata ma prossima a esplodere.
Come mi ha pronosticato il professor Antonio Golini, demografo e accademico dei Lincei, nel nostro Paese la popolazione di origine italiana potrebbe diminuire già a partire da quest’anno per effetto del saldo negativo nascite-morti. E benché il governo Berlusconi intenda metterci una pezza col bonus bebè, fino al 2020 l’Italia e le altre nazioni del Mediterraneo dovranno affrontare (impreparate) l’onda d’urto di 128 milioni d’immigrati, prevalentemente maomettani, provenienti dall’Africa subsahariana. Quando costoro avranno conquistato il diritto di voto, l’Islam non avrà più bisogno della spada: s’imporrà in forza delle sole leggi della democrazia. La nostra, mica la loro.
Otto anni fa chiesi ad Hamza Piccardo, cofondatore e segretario nazionale dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia: «Lei che cosa prevede?».

Mi rispose: «Nel 2025 saremo cinque-sei milioni. Il vostro pane lo faranno i musulmani. Le vostre mucche le mungeranno i musulmani. Avremo il nostro partito e i nostri parlamentari». Facile profeta.
Stefano Lorenzettostefano.lorenzetto@
ilgiornale.it

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica