A Piazza Affari

Puntavano su Generali, Telecom, Impregilo e Terna, ma la guerra civile ha paralizzato gli appetiti dei libici nelle società quotate italiane. Restano però le partecipazioni acquisite durante gli anni con lo shopping condotto dalla Libyan arab foreign investment (Lafico), dalla Banca centrale libica e dal fondo sovrano Libyan investment authority (Lia). Quote rilevanti, come il 7,2% detenuto in Unicredit, oppure il 2% in Finmeccanica, il 7,5% della Juventus e il 14,8% di Retelit (Telecom). Quote il cui destino appare ora incerto alla luce delle sanzioni adottate, in prima battuta dall’Onu e poi dall’Ue, sui beni del colonnello Gheddafi. Un congelamento patrimoniale che tuttavia non spaventa Pier Francesco Guarguaglini, numero uno di Finmeccanica: «Il 2% i libici l’hanno comprato sul mercato, senza accordi con il governo italiano. E la Lia non è di Gheddafi, ma del governo libico».
Il nodo principale da sciogliere è proprio questo. E anche vedere come il governo italiano deciderà di interpretare le sanzioni. Oggi la “Rete degli esperti del Comitato di sicurezza finanziaria“ presieduta dal direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, affronterà proprio questo problema. Sotto il profilo giuridico, non sarà facile ricondurre alle disponibilità personali del rais i «pacchetti italiani», anche per la forte opacità che da sempre ha connotato i bracci finanziari del Paese nordafricano. A sperimentarne la scarsa trasparenza è stata del resto la Consob, la commissione di vigilanza della nostra Borsa, proprio in occasione degli accertamenti effettuati per verificare se il pacchetto di Unicredit detenuto dalla Libia fosse riconducibile a un’unica entità e dunque fosse stato aggirato il tetto al 5% per il diritto di voto in assemblea fissato dallo statuto della banca di Piazza Cordusio. In mancanza di un organismo di controllo libico, senza neppure un mercato azionario di riferimento, la Consob si è in seguito dovuta accontentare di una sorta di autocertificazione rilasciata da Lia e dalla Banca centrale libica, in base alla quale si dichiarava la netta separazione tra i due soggetti. A quel punto, la commissione ha preferito lasciar perdere: quasi nulla rischiavano i libici, a parte una modesta sanzione amministrativa per omessa comunicazione sul superamento delle soglie rilevanti.
Il problema dell’incertezza giuridica delle quote Unicredit in mano alla Libia era già stato peraltro sollevato dallo stesso presidente dell’istituto, Dieter Rampl. Che per questo motivo aveva proposto ai libici un’intesa per limitarne al 5% il diritto di voto.

Quell’accordo non è mai stato messo nero su bianco, e la scomparsa di Farhad Omar Bengdar, il governatore della Banca centrale libica che siede nel consiglio di Unicredit e che da giorni è irreperibile, complica la faccenda. Anche per quanto riguarda la governance della banca.

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