«La picchiava a sangue per un paio di calzini»

Ai magistrati, i parenti della vittima hanno raccontato di percosse, insulti e minacce di morte che la donna subiva di continuo dal consorte

«La picchiava a sangue per un paio di calzini»

Massimo Malpica

Ecco come sarebbero andate realmente le cose in quella drammatica notte nelle campagne di Marsciano, secondo le 27 pagine dell’ordinanza del Gip di Perugia. Che comincia ricostruendo gli eventi. All'1.10 alla villetta di Compignano arriva l'ambulanza del 118. Barbara Cicioni è distesa accanto al letto, morta. Venti minuti dopo ecco i carabinieri. Subito si procede con gli interrogatori, da cui emerge che tra il 12 e il 13 gennaio la famiglia aveva subito un furto con effrazione della porta-finestra. Roberto Spaccino racconta di essere rimasto con i figli fino alle 20.30-20.45. «Alle 21.30 - mette a verbale - Barbara era stanca per la gravidanza e si è stesa sul letto».
Roberto mette a letto i bambini, torna a parlare con la moglie. E Barbara gli chiede di andare in lavanderia «a fare il “distillo” del cloroetilene alle lavatrici». Il marito racconta di essere uscito di casa alle 23.30. Lascia le luci accese e «la persiana della cucina - spiega - era parzialmente chiusa con un gancio».
Al pm l'uomo rivela che dopo il furto di gennaio aveva montato una cassaforte in camera da letto. «Di solito era mia moglie che posizionava la chiave nei cassetti cambiando posto di volta in volta», aggiunge. Spaccino prosegue spiegando di essere tornato dopo circa un'ora, e di essersi precipitato in casa dopo aver notato la finestra aperta, trovando i cassetti rivoltati e la moglie stesa sul pavimento. «Quindi sono arrivati i miei due fratelli e le mie cognate, poi anche mio padre», continua. Quanto ai rapporti con la moglie, Spaccino li definisce normali a eccezione di qualche litigio: «Sul lavoro litigavamo spesso ma facevamo pace subito. È capitato che io e mia moglie ci siamo dati delle spinte», mette nero su bianco.
I fratelli e le cognate confermano le dichiarazioni di Spaccino sul ritrovamento della donna. Ma subito emergono incongruenze. La prima. Nonostante il furto precedente, osservano gli inquirenti, Spaccino sarebbe uscito lasciando la porta aperta con i figli e la moglie incinta in casa, «senza azionare i chiavistelli». L'uomo sostiene che faceva così perché la moglie spesso tornava la sera in lavanderia, ma altri testimoni smentiscono la circostanza. Le modalità del furto sono anomale, solo un cassetto è stato aperto, e poi stupisce la presenza in casa di oggetti di valore, cornici d'argento, bracciali, soldi, un assegno, tutti risparmiati dai ladri.
Sui rapporti burrascosi tra moglie e marito, poi, sono decisivi i parenti. «Ho raccolto tali e tante confidenze da Barbara - confida la cugina Chiara - da farmi l'idea che Roberto era ed è persona pericolosa, fredda, cinica. A mia madre ho detto subito che pensavo che l’esecutore fosse Roberto. I maltrattamenti e le violenze verbali e fisiche hanno fatto sì che Barbara fosse costretta a vivere accettando un marito violento ma che tutelava per non far vivere ai figli la propria esperienza. I primi litigi - continua la donna - risalgono al fidanzamento. Una volta Barbara mentre era incinta di uno dei primi due figli arrivò piangendo a casa mia dicendo che il marito l'aveva picchiata perché non trovava un paio di calzini. In un'altra occasione Barbara è stata costretta al silenzio sotto la minaccia di una falce puntata alla gola. E più volte - insiste la cugina - Roberto le diceva: «Tanto io prima o poi ti ammazzo». Anche la zia di Barbara, Elisa, racconta di quando, «giunta al settimo mese della prima gravidanza, piangendo mi disse che Roberto l'aveva maltrattata e picchiata per un motivo banale». «Quando quel figlio aveva tre mesi - insiste la zia - mi chiamò supplicandomi di portarla via da casa, gli dissi di passarmi Roberto al telefono, che imprecò e urlò oscenità su Barbara, dicendo che era nullafacente e mignotta come la madre». Il padre di Barbara confida ai carabinieri: «Manifestai contrarietà all'unione, senza però impedire a mia figlia di fare le sue scelte. C'erano differenza culturali tra le due famiglie (...) mia sorella mi disse delle ripetute violenze che subiva Barbara, mi sono stati raccontati episodi in cui mia figlia ha dovuto sopportare percosse con calci e pugni, minacce di morte, offese anche alla presenza dei figli». Per la procura, dunque, «Barbara aveva detto al marito che non se la sentiva di andare a lavorare il giorno successivo, per il diabete gravidico e la ritenzione di liquidi. Spaccino, reiterando i rituali delle ingiurie, l'ha colpita violentemente e reiteratamente, fino a provocarne il decesso, incurante dello stato di gravidanza e delle lesioni che avrebbe arrecato alla bambina che stava per nascere.

Ha provato a riprodurre il precedente furto, ha inscenato la sua uscita di casa per recarsi in lavanderia perché aveva bisogno di un alibi (...) ma la sceneggiata trova un limite nelle dichiarazioni del medico legale sull'ora della morte che è incompatibile con le dichiarazioni di Spaccino».

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