È il volto simbolo della «generazione Mila&Shiro», dal nome di uno dei cartoni animati giapponesi sul volley che hanno portato in palestra un fiume di ragazzine italiane. Ma a otto anni, quando cominciava a sbucciarsi le ginocchia, Francesca Piccinini non immaginava che un giorno del novembre 2007, proprio in Giappone, avrebbe vinto la World Cup, staccando il biglietto per la sua terza olimpiade su altrettante della nostra pallavolo in rosa. Ricordi che rendono speciale lanno appena concluso. Speciale per il volley donne e per la 28enne schiacciatrice toscana, iridata 2002, tre scudetti in carriera, un sorriso da copertina. Mentre gli uomini, scivolati sempre più in basso, passano le feste a preparare il torneo di qualificazione ai Giochi in agenda a Smirne, in gennaio. I tempi cambiano, sotto rete.
Champions League con Bergamo e World Cup in azzurro: il ricordo migliore?
«La World Cup, perché è stata la prima e perché abbiamo giocato unottima pallavolo, perdendo solo 2 set. E perché rientravo in nazionale. Non ero con le ragazze che hanno vinto loro europeo in settembre, dovevo risolvere dei problemi fisici, una scelta difficile ma necessaria».
Funziona bene il giocattolo-Italia se si vince con o senza Piccinini, una con 338 maglie azzurre
«Le rivalità, allinterno, ci sono e stimolano tutte a dare di più ma il gruppo è sano e sereno».
E imbattibile, di recente. Come vi si ferma?
«Con una tempesta. Abbiamo carattere, convinzione, muro, difesa».
E la star Aguero, cubana divenuta italiana
«Lei è forte ma da sola non vince. Allinizio era una sensazione strana trovarsi in squadra una rivale del passato, invece ora è ben integrata».
Parafrasando Truffaut, il ct Barbolini è luomo che capisce le donne? Più difficile allenare le signore?
«No, sono cambiati i tempi. Una volta non cera la cultura del dialogo, un cosa ne pensate? era inimmaginabile. Ora gli allenatori hanno capito che latteggiamento di superiorità maschile è dannoso e che la comunicazione produce risultati. Barbolini meglio del suo predecessore Marco Bonitta? Marco ha dato e ricevuto tanto, poi si è chiuso un ciclo, come altri».
Però in serie A1 cè una sola allenatrice donna, Manu Benelli a Imola.
«Una donna che smette di giocare pensa subito alla famiglia. Io allenatrice? Non credo, ma non si sa mai. Vorrei diventare madre, però dopo il volley».
Ci sono allenatori nel basket donne giovanile che tifano contro lItalia del volley: i vostri successi portano ragazzine sotto rete e non a canestro
«Mi pare incredibile, io tifo sempre Italia. Quanto al basket, non amo gli sport di contatto e faccio canestro solo per c
».
Julio Velasco dice che è riduttivo chiamarvi generazione di fenomene, avete dietro un movimento da 220.000 atlete tesserate.
«La generazione di fenomeni resta quella degli uomini che hanno vinto tantissimo ed è presto per fare paragoni. Però è vero che abbiamo un rapporto speciale con le giovani giocatrici: non ci sono le barriere imposte dalla popolarità del calcio».
Hai scritto un libro autobiografico (La melagrana) e fatto un calendario. Quale esperienza ripeteresti?
«Il libro. Ho cercato di raccontarmi: io sono come la melagrana, agrodolce. Ci vuole pazienza per conoscermi e oggi tutti ne hanno poca. Potrei scriverne un secondo a fine carriera. Per ora, invece, dipingo».
Un 2007 ricco di gioie per lo sport femminile italiano. Unimmagine da ricordare?
«La nazionale di volley».
Chi ti colpisce di più: Vanessa Ferrari, a 17 anni simbolo della ginnastica o Josefa Idem, che a 42 si qualifica ai Giochi nella canoa?
«La Idem, per la voglia di non mollare mai, malgrado la fatica. La Ferrari è una promessa di talento cui consiglio di restare se stessa, con umiltà».
Di cosa ha bisogno lo sport femminile italiano?
«Di più spazio sui mezzi di comunicazione. Non è giusto che i quotidiani debbano occuparsi di noi solo per una medaglia doro. Gli appassionati sono più di quanti si creda, i sacrifici da raccontare sono tanti».
Le donne vincono nello sport ma hanno meno potere degli uomini.
«Sì, ma stiamo arrivando».
In cosa le donne saranno sempre superiori?
«Nella capacità di pianificare, di gestire. E nella forza con cui sopportano il dolore».
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