Un piccolo macellaio innamorato dell’Urss

Quando ancora combatteva nella foresta in attesa di prendere il potere, il Nostro si atteggiò a inflessibile capo militare. Un giorno gli fu portato un soldatino acciuffato dai commilitoni mentre rubava un po’ di cibo dalla tenda delle vettovaglie. Era poco più di un ragazzetto. Il Nostro lo fece fucilare sui due piedi.
Un’altra volta, quando la sua banda era già nei pressi della capitale, si trovò davanti un tale Eutimio Guerra accusato di collusione con il nemico. I particolari del presunto tradimento non erano però chiari. Per capirne di più, il Nostro decise di processarlo. Ma un istante dopo aveva cambiato idea. Cavò dalla fondina la sua calibro 22 e conficcò un proiettile a bruciapelo nella fronte del sospettato. Guerra cadde stecchito sotto gli occhi dei compagni. Uno di loro, il partigiano «Universo», gridò al Nostro: «Che hai fatto? Lo hai ucciso!». L’altro replicò: «Abbiamo fucilato, fucileremo e continueremo a fucilare finché sarà necessario».
Eseguì il programma alla lettera appena la sua fazione prese il potere. Nominato capo della Commissione di epurazione, gli furono affidati i processi, le esecuzioni e la gestione del carcere ricavato nella Fortezza detta Cabania. Le udienze duravano pochi minuti. Appena pronunciate, le sentenze di morte erano immediatamente ratificate dalla Corte d’Appello. Le fucilazioni avvenivano in piena notte, dal lunedì al venerdì. La media era di sette esecuzioni il giorno. In breve, furono uccise migliaia di persone. Stessa sorte dei gerarchi del regime rovesciato, subivano i rivoluzionari dissidenti. Tanti di costoro avevano combattuto la «guerra di liberazione» accanto al loro attuale carnefice e molti avevano contribuito alla causa anche più di lui. Ma poiché rifiutavano il sistematico terrore instaurato dall’ex compagno erano messi a morte con l’accusa di tradimento.
Il Nostro si faceva un dovere di controllare personalmente tutte le fasi della mattanza. Assisteva alle esecuzioni fumando il sigaro, dava segni di impazienza se il flusso dei morituri rallentava, verificava che ognuno ricevesse il colpo di grazia.
Portato a termine questo compito, il «commissario all’epurazione» - divenuto nel frattempo ministro - istituì le «domeniche di lavoro volontario» in cui la popolazione era chiamata a costruire scuole e a lavorare gratis nelle fabbriche. A ispirare le sue iniziative era il modello sovietico. Il Nostro infatti, dichiaratamente marxista, soleva dire: «Credo fermamente che la soluzione dei problemi di questo mondo sia dietro a quella che chiamano la Cortina di ferro». Sempre imitando l’Urss, realizzò nel 1960 il primo «campo di lavoro correzionale», un lager per lavori forzati sul modello di quelli sovietici. Era soltanto l’inizio: dopo la morte del Nostro, questi gulag si moltiplicarono nel Paese.
Porta la sua impronta anche l’organizzazione delle carceri per gli oppositori. Il Nostro ci mise il meglio di sé, dimostrando inesauribile fantasia. Le torture erano personalizzate in base alla gravità delle «colpe» e alle caratteristiche del prigioniero. Alle donne, più delicate e schizzinose, toccava essere rinchiuse in celle riempite di scarafaggi. I recidivi erano ammassati a grappoli in cunicoli larghi un metro, alti 1,80 e lunghi 10, dove era impossibile distendersi, dormire, fare i bisogni. Altri detenuti erano costretti a salire delle scale con scarpe piombate e poi precipitati in basso con una spinta. I «politici» erano lasciati morire di fame.
Per indurre i prigionieri a parlare, si moltiplicavano gli arresti dei congiunti. L’elettroshock era usato a piene mani. Gli stupri nelle celle erano aizzati dalle guardie, tanto che nel tentativo di evitarli molti detenuti si cospargevano il corpo dei propri escrementi. Queste amenità, partorite dal cervello malato del Nostro, si perpetuarono poi negli anni diventando - come hanno riferito organizzazioni umanitarie - caratteristiche dell’odioso regime tuttora esistente.
Lo psicopatico che abbiamo descritto nacque da ottima famiglia. Si ammalò di asma da ragazzo e per reazione volle farsi un duro. In motorino attraversò la Pampa e fece il giro dell’America latina.

Al ritorno dal viaggio, si laureò in medicina per poi contravvenire, come abbiamo visto, ogni rigo del Codice d’Ippocrate. La sua crudeltà gli valse il nomignolo di «carnicerito», (piccolo macellaio). Fu ucciso a tradimento, con la stessa spietatezza con cui era vissuto.
Chi era?

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