Del Piero e Ferrara amici Ma Ciro rischia per due

Il capitano non ha nulla da perdere, il tecnico dovrà gestirlo con diplomazia.  Ma se regge il patto fra grandi vecchi , la Juve tornerà Signora degli scudetti. Cannavaro: "Facciamo la pace, non la guerra"

Del Piero e Ferrara	amici 
Ma Ciro rischia per due

Lo ha detto subito, tanto per sviare i cattivi pensieri. Che comunque ci saranno. «É un amico, ma adesso lo chiamo mister». Dev’essere difficile dare mentalmente del «Lei» ad uno a cui eri abituato a dare semplicemente del «Tu». Ma questa è la vita ed anche la nuova Juve. Del Piero è la continuità, detto in termine soft. Il padrino, non più giovane (35 anni), un po’ ingombrante che non molla, detto in termine più realistico. Ciro Ferrara è l’amico diventato mister. Visto dalla panchina, un giovane di belle speranze. Visto dall’anagrafe (42 anni), il fratello maggiore di Del Piero. Comunque una coppia da Juve, quella Juve che non cade nei trabocchetti, quella Juve abituata a vincere, quella Juve che ha pedigrèe di successo (insieme hanno vinto tutto: Champions, scudetti, coppa del mondo a Tokyo). Forse non a caso, negli ultimi quindici anni, sono il duo bianconero che ha giocato il maggior numero di partite insieme.

Detto e letto così, sarebbero una bella coppia per credere nel futuro di questa squadra rinnovata, rinforzata e ristudiata. Ma se un giorno la bella coppia si trasformasse in strana coppia, non ci sarebbe da stupirsi: troppo divergenti le loro strade per pensare ad un idillio continuo. D’accordo, la Juve è il bene comune, ma non c’è stato allenatore dell’ultimo decennio che non abbia dovuto scontare mugugni e pretese di Del Piero. Talvolta giustificati, altre volte figli della sindrome da primadonna. Basta leggere le ultime dichiarazioni per capire. Ferrara ha provato due volte Del Piero nel ruolo di trequartista, ma affrettandosi a dire: «É solo un caso, non certo una soluzione definitiva». E l’altro, tranquillo ma preciso come un laser: «Appunto, ho giocato in un ruolo non mio, ma serve per ritrovare la condizione». Non c’è stato allenatore che non abbia studiato quel tipo di ruolo per il numero dieci storico. Tutti hanno sperato di convincerlo, per affidarsi ad altro tipo di punte. Non ce l’ha fatta nessuno e sono state frizioni ed insofferenza.

Le ultime stagioni della Signora dicono che Ferrara, in certi momenti, dovrà metter da parte l’amicizia, per dedicarsi alla ragion di squadra e di Stato. John Elkann ha carezzato l’orgoglio del capitano rinnovandogli il contratto, presentandosi il giorno dell’annuncio, ma per sua fortuna non dovrà presenziare nello spogliatoio quando Ferrara prometterà all’amico un posto in panchina. Più o meno fugace, d’accordo, ma necessario se la Juve vorrà crescere, moltiplicare i successi e creare un’impalcatura che duri nel tempo. Del Piero è, e resta, un bon bon, dotato di bon ton e buon tocco. Ma sta diventando un oggetto di antiquariato. Ferrara sa bene cosa significhi, avendo provato l’effetto che fa negli ultimi anni di carriera. Li ha gestiti con signorilità ed eleganza tipica dei napoletani di mondo della sua specie. Forse gli ha giovato per avviarsi ad altro tipo di panca: quella rovente che gli sta sotto oggi.

La Juve e Ferrara rischiano insieme. Del Piero ormai non rischia niente. Nemmeno la faccia. Ha messo del suo a fine campionato: i gol che contavano per accrescere i meriti dell’amico. Ha detto la sua a modo suo. E la Juve dipende molto dal patto d’amicizia e connivenza-convivenza dei due pluridecorati. É una vecchia Juve che si sta riformando. Riecco Michelangelo Rampulla nello staff tecnico. É ricomparso Daniele Boaglio, il nuovo team manager che ha sostituito Pessotto: li ha visti nascere nella Juve targata ’94, quella del primo scudetto per Del Piero e Ferrara, appunto.

Sono tutti segnali della ricerca della forza di gruppo. Ferrara ha sempre avuto il carisma da leader, Del Piero si è fatto più uomo. Amici miei era un bel film. Se lo fosse anche l’edizione in bianco e nero, ci sarebbe da prendere a schiaffi i malpensanti.

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