Del Piero al palo, continua la favola Di Natale

La Juventus, pericolosa solo sui calci di punizione del capitano, paga la brutta giornata di Nedved e Trezeguet e l’infortunio di Camoranesi. Friulani spregiudicati. Dopo i due gol di Kiev (con Alex in tribuna) la punta dell’Udinese è ancora decisiva. Ranieri sbaglia i cambi e viene contestato

Del Piero al palo, continua la favola Di Natale

Torino - Finisce con Gigi Buffon che, unico tra gli juventini, va a ringraziare e salutare i tifosi della curva allargando le braccia. Come dire che «più di così non potevamo fare». La Juve ricomincia il campionato come non avrebbe voluto, perdendo davanti al suo pubblico (in serie A non succedeva dal 20 aprile 2005, 0-1 contro l'Inter) e al cospetto di un'Udinese quadrata nonostante un 3-4-3 sulla carta suicida o quasi.

Perde per merito di Di Natale, bravo a inizio ripresa a bruciare Buffon con un tocco di testa arrivato al termine di un'azione da calcetto, orchestrata in spazi minimi e gestita da piedi sapienti. E perde, la Juve, perché troppi suoi uomini non sono parsi al meglio, anche nervosi e comunque poco precisi sotto porta. Vero che Del Piero ha preso due pali su punizione - uno intorno alla mezz’ora del primo tempo e l'altro in pieno recupero -, vero anche che su azione manovrata i pericoli corsi da Handanovic sono stati pochi.

Ci sarebbe voluta più velocità e capacità di saltare l'uomo, invece la Juve di ieri ha dovuto fare a meno di Camoranesi dopo meno di un tempo e chissà se il problema muscolare patito alla coscia destra sarà cosa da poco oppure obbligherà Ranieri a fare gli equilibrismi per trovare un degno sostituto: ieri Nocerino, in assenza dell'altro acciaccato Salihamidzic, ci ha messo tanta buona volontà ma non ha il passo né la tecnica per poter rappresentare il vero alter ego dell'oriundo, anche se su di lui Farina avrebbe potuto fischiare un rigore per un'uscita avventurosa di Handanovic. Dall'altro lato Nedved è parso il fratello invecchiato del Pallone d'Oro di qualche anno fa: pochi strappi e cambi di ritmo, un'occasione sprecata banalmente e poco altro.

Di qualità in mezzo al campo se n'è vista poca: Almiron ha ceduto presto il bastone del comando a Zanetti, tolto chissà perché a inizio ripresa per dar spazio a un Tiago per ora troppo lento per i ritmi del calcio italiano. Con queste premesse era difficile portare a casa il risultato pieno: ci sarebbe voluto il Trezeguet dei tempi belli, quello che trasforma in pepite d'oro qualunque sassolino buttato in area di rigore.

Quello autore di quattro gol nelle prime due partite di campionato, insomma: e se è vero che la cura Domenech, in nazionale, non gli ha fatto bene, lo è anche il fatto che in pochi hanno capito il motivo per cui, già sotto di un gol, Ranieri ha avvicendato il suo attaccante principe con Iaquinta, vistosi annullare un gol per una precedente spinta di Del Piero a Coda. Si è beccato anche qualche fischio, Ranieri: la luna di miele è finita, insomma.

Dall'altro lato, un'Udinese davvero bella che non si capisce come abbia potuto prendere cinque gol dal Napoli in casa dopo avere imposto l'alt all'Inter nella prima di campionato: difesa attenta e addirittura ottima in Zapata - non a caso oggetto del desiderio di tante squadre, Juve in testa - centrocampo con D'Agostino su tutti.

E poi, in attacco, lo scugnizzo Di Natale ha fatto il bello e il cattivo tempo, infierendo quando ha potuto su Birindelli ma aiutando anche in fase di copertura: se ci fosse stato il vero Quagliarella, sarebbero stati dolori per Buffon. Il quale ha perso la scommessa con Di Natale porgendogli però i complimenti a fine partita.

Per il quasi trentenne napoletano, si è chiusa così nel migliore dei modi una settimana indimenticabile: doppietta in Nazionale, gol decisivo a Torino dove l'Udinese non vinceva dal 1° novembre 2000 (2-1, doppietta di Sosa e rete di Del Piero). Un trionfo su tutta la linea: Del Piero battuto sia nel duello per una maglia da titolare in azzurro che sul campo.

Per la serie: si può diventare grandi giocatori anche in provincia. Basta avere voglia di lavorare duro e sapere aspettare il proprio momento. A patto, naturalmente, di avere due piedi e una testa in grado di dipingere calcio.

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