Di Pietro chiede aiuto: ha paura

Il leader Idv candida un pluri indagato e giura di non andare più in piazza. In cambio chiede a Bersani protezione. La strana fortuna di Di Pietro. Il buco nero della tv che finanziò il partito. Quando gli "avvisi" dell'ex pm erano letali. L'Idv dei parenti

Di Pietro chiede aiuto: ha paura

Roma - La metamorfosi dell’Idv imposta dal suo padre-padrone Di Pietro passa attraverso tre bocconi, in verità mal digeriti da un pezzo importante di partito: la sconfessione della piazza urlante; la ricerca di un’alleanza privilegiata con il Pd; il bacio al «rospo» De Luca. In occasione del primo congresso-patacca della sua creatura, Tonino ha parlato di «svolta». «Siamo pronti a un altro governo per il Paese - ha arringato il popolo dei delegati nella pancia dell’immenso hotel Marriott di Roma -. Abbiamo fatto resistenza, resistenza, resistenza, che ci voleva a un regime piduista, ma ora siamo alla svolta». La citazione borrelliana è un richiamo alle radici ma adesso i frutti devono essere altri. Di Pietro sembra essersi stufato di solleticare la piazza manettara e di brandire la forca perché «è finito il tempo della sterile protesta e comincia quello della grande responsabilità di governo».

L’aveva detto pure venerdì, davanti al segretario del Pd Bersani, che poi era corso ad abbracciarlo: «Urlare in piazza non basta più e io non voglio morire d’opposizione. Non posso aspettare che Berlusconi vada in pensione, voglio batterlo politicamente». Meno proteste e più proposte, insomma. L’ex leader di Mani pulite sembra essersi stufato dei Palavobis, dei girotondi, dei vaffa-day, dei no B-day e persino del popolo viola. Roba difficile da mandar giù per l’ala più movimentista dell’Idv che tra gazebo, megafoni e sit-in ci sguazza che è una meraviglia. Ma tant’è: così ha deciso il capo e nessuno osi contraddirlo.

Il secondo piatto forte riguarda le alleanze e parte dal presupposto che in solitaria non si cresce, non si vince, non si governa. «Se accettiamo soltanto il voto di pancia si può prendere il 2 o l’8 per cento e da soli possiamo prendere uno o due punti in più. Ma facendo così consegniamo il Paese a Berlusconi». Quindi ben vengano gli abbracci con Bersani e il Pd, interlocutori privilegiati per «costruire l’alternativa». La realpolitik impone di uscire dal ghetto dell’opposizione radicale: «Tra noi molti dicono che non dobbiamo andare con nessuno... Ma da soli non si fanno figli...», ripeteva con pittoresca metafora Di Pietro, alla ricerca del nulla osta nel siglare patti per vincere il più possibile e in ogni dove. Patti con chi? Sebbene «io con Tabacci ci parlo volentieri, tutti i giorni», l’interlocutore privilegiato resta il Pd. E anche in questo caso capita che la base debba mandar giù roba indigesta: al dipietrino, spesso orfano dei partiti della sinistra radicale, piace molto di più un Vendola che un D’Alema. La riprova è che al congresso il candidato governatore della Puglia sia stato osannato manco fosse la Madonna: «Ni-chi, Ni-chi, Ni-chi».

Il terzo boccone, forse quello più pesante da inghiottire, riguarda l’appoggio al candidato piddino in Campania, Vincenzo De Luca. L’attuale sindaco di Salerno, fino a ieri considerato inaccettabile, impresentabile, mascalzone, è stato riabilitato con uno show magistrale. Quella che è stata definita la «svolta di Salerno» è arrivata in seguito a un processo-farlocco, culminato con una sentenza di assoluzione. Lo scontato verdetto è giunto per acclamazione (e non per voto, ndr) dopo la sceneggiata dipietresca del «vieni qui e convincici che sei pulito».

De Luca è andato, da abilissimo tribuno ha fatto la sua arringa difensiva e s’è così guadagnato l’appoggio dell’(ex?) Torquemada-Di Pietro. «Ma come - si domandavano anche ieri molti delegati al congresso - noi che siamo gli unici a sventolare la bandiera delle mani pulite adesso la arrotoliamo sostenendo un imputato? Nemmeno indagato... Imputato!». Un altro poi ragionava: «Lo capiamo o no che così si crea un precedente? De Luca si difende dicendo che ha fatto quello che ha fatto per il bene comune.

Ma chi lo stabilisce qual è il bene comune? Lui? L’unico bene comune è il rispetto delle regole. Capito? Regole. Re-go-le». Nonostante Tonino abbia costretto il suo popolo a baciare il «rospo» De Luca, è evidente che quest’ultimo, agli occhi dello stesso popolo, non si trasformerà mai in un principe.

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