Il plauso a Tremonti e il rischio di giocare col fuoco

Non sono rose e fiori le previsioni del Centro studi di Confindustria. Il prodotto interno crescerebbe con percentuali da incubo: lo 0,1% nel 2008. Ampliando così il divario con le altre economie europee.
L'inflazione media arriverebbe al 3,4% nel 2008. Il rapporto deficit/Pil (quello che fa impazzire Bruxelles) sarebbe in salita nel 2008 al 2,5. L’occupazione in rallentamento. Le retribuzioni per dipendente crescerebbero del 3,5% nel 2008 dal 2,1 del 2007 ma l’inflazione inciderebbe sul potere di acquisto. La questione salariale sarebbe accompagnata in Italia «dall’erosione dei profitti». Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli ultimi 10 anni sarebbe «aumentato poco, benché più della produttività» con il fattore lavoro in netto recupero di «quote distributive a scapito del capitale». La distribuzione del reddito, a favore del lavoro «è stata nel 2007 del 65,5% (65% nel ’97), e nell’industria è al 70,7 per cento mentre al capitale è andato il «34,5 per cento (35 nel ’97)», contro il 40,1 per cento della Spagna, 37,5 della Germania, 39,3 degli Stati Uniti e il 36 della Francia. Molto giusta, infine, per il centro studi la scelta del governo di fissare l’inflazione programmata all’1,7%. «Credibile e coerente con la necessità di non perdere ulteriore competitività».
Qualcuno potrebbe dire che analisi e previsioni del Centro studi di Confindustria siano molto confindustrialiste, giustifichino ampiamente la politica salariale delle imprese: i margini di profitto sono sotto quelli delle economie del G7 e nonostante tutto non è diminuito il potere d’acquisto dei lavoratori. Ancora, si potrebbe osservare sempre maliziosamente che l’unica previsione del governo entusiasticamente condivisa è quella sull’inflazione programmata che serve anche come (parziale) elemento di riferimento nel definire la parte monetaria dei contratti.
Ma fuor di malizia, non è che le analisi di scenario di Giulio Tremonti siano divergenti da quelle confindustriali. Da qui la politica rigorosa proposta e l’obiettivo di seri tagli fiscali posto come orizzonte di un articolato risanamento. In questo senso non si ripeteranno gli scontri tra il Csc dell’era damatiana, guidato dall’eccellente economista Gianpaolo Galli, e il ministro che voleva il monopolio delle «previsioni». Nell’età della sua saggezza, Tremonti si fa forte di chi non la pensa come lui. Né, da parte del centro studi, è un cedimento a puri interessi «padronali» la difesa di un’inflazione programmata bassa: è catastrofica l’illusione di una rincorsa prezzi-salari come vera difesa del potere d’acquisto e della redistribuzione tra remunerazioni da lavoro e capitale.
Naturalmente, al di là del Csc che fa il suo mestiere, è bene che la Confindustria non giochi col fuoco e che, come peraltro è sembrato trasparire dall’ultimo incontro tra imprenditori e sindacalisti (e dalle dichiarazioni di ieri di Emma Marcegaglia), i salari recuperino senza trucchi le vette di produttività dove si realizzano, redistribuendo velocemente reddito.

Né sarebbe male che le imprese appoggiassero gli interventi emergenzialisti tremontiani che affrontano le punte di disagio sociale nei fatti, senza indulgere nelle teorie sulla lotta di classe dei salotti marxisti né in quelle sul mercato perfetto dei salotti liberisti.

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