Il pm: «Condannare Geronzi e Arpe»

A una settimana esatta dalla condanna a quattro anni di reclusione ricevuta a Roma per il crac della Cirio, su Cesare Geronzi - ex presidente di Capitalia e della Generali - piove ieri una nuova richiesta di pena: stavolta a venire al dunque è l’altro grande scandalo finanziario dell’inizio di questo secolo, la bancarotta di Parmalat. Come nel caso Cirio, Geronzi è accusato di avere aggravato il dissesto dell’azienda pur di salvaguardare gli interessi della sua banca: nel caso specifico, costringendo il gruppo di Collecchio ad assorbire un’azienda di acqua minerale di proprietà del gruppo Ciarrapico, la Ciappazzi. Sette anni di carcere per concorso in bancarotta e usura, questa la condanna - senza nemmeno concedere le attenuanti generiche - che il pubblico ministero Vincenzo Picciotti chiede per il banchiere.
Insieme a Geronzi e ad altri imputati minori, il pm chiede di condannare un altro nome importante del firmamento bancario italiano: Matteo Arpe, all’epoca del crac amministratore delegato di Capitalia. La sua posizione, nella ricostruzione dell’accusa, è sensibilmente più defilata di quella di Geronzi, tanto che per due dei tre capi di accusa lo stesso pm chiede il proscioglimento. Ma per il finanziamento erogato a Tanzi nell’ottobre 2002, quando il disastro era ormai imminente (e Capitalia aveva gli strumenti per conoscere il reale stato di salute di Parmalat) la Procura chiede per Arpe due anni di carcere. «Ai consigli di amministrazione che deliberarono quel finanziamento, Arpe non era presente», fanno sapere i suoi legali, preannunciando la richiesta di assoluzione.
E richiesta di assoluzione si preparano ad avanzare anche i legali di Geronzi, che parlano di una «richiesta di pena esorbitante». «Usando una lente deformante il pubblico ministero ha cercato di trasformare le congetture in certezze e gli interrogativi in prove di responsabilità», dicono gli avvocati. Secondo lo staff difensivo di Geronzi, la Procura di Parma prende per oro colato le dichiarazioni di Tanzi trasformandolo quasi in una vittima. Ma per la Procura non ci sono dubbi: il finanziamento da 50 milioni erogato da Banca di Roma nell’ottobre 2002 aveva come unico obiettivo fornire a Tanzi la liquidità per comprare la Ciappazzi, e di rimando consentire a Ciarrapico di rientrare dalle sue esposizioni verso la banca di Geronzi. In pratica, aveva scritto il giudice Pietro Rogato, nel febbraio 2006, sospendendo Geronzi dalle sue cariche, «l’occupazione di Parmalat da parte di Capitalia fu operazione condotta con una certa brutalità».

E il regista delle operazioni, sosteneva il giudice, fu sempre e comunque Geronzi: «Era dietro le quinte del palcoscenico che l’indagato risultava svolgere più attivamente le funzioni connesse alla sua carica», «ovviamente era sempre informato di ciò che accadeva, era sempre lui a decidere cosa fosse meglio fare».

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