Politica estera: pasticci «discontinui»

Livio Caputo

Tra le tante vanagloriose promesse elettorali del Professore, c'era naturalmente anche quella di rilanciare il prestigio dell'Italia in Europa e nel mondo, a suo dire compromesso da cinque anni di governo Berlusconi. Ebbene, nei primi sei mesi di governo Prodi, è accaduto esattamente il contrario, e l'elenco dei danni provocati ora da Palazzo Chigi ora dalla Farnesina si allunga di giorno in giorno: per ragioni inerenti in parte anche alle necessità di tenere unita la coalizione, si è andati molto al di là della annunciata «discontinuità», si è operata una vera e propria inversione di tendenza, che ha pochissimi precedenti nei Paesi seri anche in occasione dei cambi di maggioranza.
Nonostante il tanto pubblicizzato «balletto» tra D'Alema e la Rice, sono stati gravemente compromessi, come ha denunciato giorni fa lo stesso ambasciatore statunitense Spogli, gli eccellenti rapporti stabiliti dal Cavaliere con Washington; lo strombazzato rilancio della politica europeista non ha dato il benché minimo frutto, tant'è vero che né Parigi né Berlino, impegnati in un'operazione di ricucitura con l'America proprio mentre noi ci muoviamo in senso contrario, ci prendono sul serio e a Bruxelles sono a dir poco perplessi dalla gestione schizofrenica della nostra legge finanziaria; il ritorno a una smaccata e vergognosa politica antiisraeliana, dopo il riequilibrio operato dal centrodestra, e la nostra entusiastica partecipazione a una missione Onu nel Libano meridionale costosa, inutile e visibilmente destinata all'insuccesso sottolineano il velleitarismo di un governo la cui agenda viene sempre più dettata dalla sinistra radicale; il tentativo di Roma di essere ammesso al gruppo di lavoro composto da Francia, Gran Bretagna e Germania incaricato di trovare un compromesso con l'Iran sulla questione nucleare ha dato, come unico risultato, l'invito a una colazione; la mania di protagonismo di Massimo D'Alema, che non avendo neppure i soldi per potenziare le nostre missioni all'estero vorrebbe organizzare conferenze di pace dappertutto, mandare caschi blu italiani anche a Gaza e risolvere perfino i problemi dell'Afghanistan è considerata imbarazzante in numerose Cancellerie; infine, la missione di un migliaio di persone in Cina, guidata dal presidente del Consiglio in persona e presentata come un rilancio del ruolo dell'Italia dopo le omissioni berlusconiane è passata come l'acqua sul marmo, senza quasi lasciare tracce. L'unico vero successo di Prodi in politica estera, l'ingresso dell'Italia nel Consiglio di Sicurezza per il biennio 2007/2008, è in realtà il risultato di anni di preparazione e di lobbying da parte del governo di centrodestra e non ha nulla a che vedere con le giravolte degli ultimi mesi: c'è anzi il pericolo che un cattivo uso del nostro voto nelle molte delicate questioni che con il nuovo anno verranno all'attenzione del Consiglio, magari dettato dalla necessità di dare un contentino a Giordano o a Diliberto, ci procuri più danni che vantaggi. La decisione di D'Alema di astenersi - unico europeo - nello scontro in Assemblea generale tra il Guatemala appoggiato dagli Usa e il Venezuela della nuova alleanza antiamericana costituisce in materia un precedente inquietante.
La grande stampa internazionale, che per antipatia nei confronti di Berlusconi si era schierata a suo tempo in maggioranza con il governo Prodi, ha cominciato a prendere atto della situazione e, sotto lo stimolo delle vicissitudini della Finanziaria, a presentare l'Italia come un ingovernabile Paese di pasticcioni. L'offensiva è guidata come al solito dai giornali anglosassoni, mai teneri nei confronti del Professore, ma si sta allargando anche a quelli degli altri Paesi, i cui corrispondenti sono notoriamente sotto l'influenza di Repubblica e devono avere preso atto che neppure il quotidiano più vicino al governo è più soddisfatto della sua creatura.
Acquistare la fama di avere una politica estera ispirata dai comunisti potrà danneggiarci anche sul piano industriale, specie sul mercato americano. Un primo costoso esempio lo abbiamo già avuto: mentre, ai tempi del governo Berlusconi, l'Agusta riuscì addirittura a ottenere la commessa per l'elicottero di Bush, sotto il governo Prodi ne ha perduta una militare molto più lucrosa, probabilmente perché ha perduto la copertura politica di cui godeva quando l'Italia era considerata, insieme con la Gran Bretagna, il più fidato alleato europeo degli Stati Uniti. Adesso, una parte non indifferente della maggioranza vorrebbe porre fine anche alla collaborazione militare con Israele, sanzionata da un regolare trattato.


Di questo passo, potremo chiedere un posto al tavolo dei «non allineati», dove siedono Castro, Chavez, Mugabe e altri personaggi della stessa risma.

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