A leggere le carte si è soffocati dallo sconcerto. Nella vicenda Mastella, infatti, è questa l'impressione che resta appiccicata sulla pelle. Il nulla trasformato in un'accusa penale per l'intera politica, per un intero partito e per un'intera famiglia da un giudice che in apertura dell'ordinanza si dichiara addirittura incompetente visto che a suo avviso la competenza è della procura e del Tribunale di Napoli. Un nulla, dunque, formale e sostanziale. Ma forse, a guardarci meglio dentro, è qualcosa di diverso dal nulla. È qualcosa di inquietante che pone interrogativi ancora una volta drammatici. La tentata concussione della signora Mastella è legata ad un giudizio politico su di un dirigente ospedaliero detto telefonicamente al proprio consuocero («per noi quell'uomo è morto»), così come la concussione praticata da un consigliere regionale dell'Udeur è la richiesta insistente su di un sindaco perché affidasse un incarico di assessore ad un esponente di quel partito. Per non parlare, sentite sentite, della concussione su Bassolino da parte di Mastella perché all'area di sviluppo industriale di Benevento venisse nominato un dirigente dell'Udeur. Se l'iniziativa del capo della procura di Santa Maria Capua Vetere, quel dr. Mariano Maffei che nella sua conferenza stampa ci ha simpaticamente ricordato il miglior De Crescenzo di «Così parlò Bellavista», non è legata ad un risentimento personale di cui ha parlato a Montecitorio lo stesso Mastella, dovremmo concludere che a pochi giorni dalla andata in pensione ha voluto processare la politica e la sua connaturale discrezionalità.
E qui il discorso diventa tragicamente serio. La politica è per molti aspetti, scelta discrezionale.
La discrezionalità, naturalmente, non è né faziosità né partigianeria ma è pur sempre scelta di parte di cui la politica deve assumersi per intero la responsabilità. La scelta della classe dirigente lombarda in tema di smaltimento dei rifiuti e di sanità pubblica, ad esempio, è stata per molti aspetti scelta discrezionale. Dai siti delle discariche e degli inceneritori alle tecnologie impiegate, dal tipo di reparti ospedalieri aperti al loro bagaglio tecnologico e professionale (nel caso dei primari, comunque, sarebbe utile ripristinare quel sistema dei concorsi pubblici eliminato dal centro sinistra). Quelle scelte hanno prodotto risultati profondamente diversi dalle scelte, altrettanto discrezionali, di Bassolino e di Pecoraro Scanio. In entrambi i casi il giudice naturale sarà il corpo elettorale. Immaginare, invece, che pure in assenza di illeciti debba essere il giudice penale a giudicare e sanzionare quella legittima discrezionalità politica è disegnare un sistema autoritario che trasferisce la politica nelle mani della magistratura o, per meglio dire, in quelle di alcune frange estremistiche di alcune procure. E questo non è accettabile come non lo accetta la stragrande maggioranza degli stessi magistrati che nelle loro sentenze spazzano via teoremi e dietrologie. La surroga del potere politico da parte di altri poteri (giudiziari, economici, dell'informazione) non appartiene alle società moderne e alla loro tradizione democratica. È inutile dire che questi continui tentativi di surrogare il potere democratico sono favoriti proprio dalla crisi dei partiti e della politica che quando non sono all'altezza dei tempi e dei bisogni appaiono sovrastrutture faziose e inconcludenti da colpire con l'applauso popolare. A Napoli come a Roma a Torino come a Palermo.
La risposta, allora, non è nella fantasia creativa di questa e di quella procura, ma nel rilancio forte ed autorevole di una politica alta. Nessuno mette in discussione l'autonomia e l'indipendenza della magistratura che sono valori costituzionali condivisi. Ma senza l'assunzione di una conseguente responsabilità dei singoli magistrati quei valori si trasformano spesso in licenza capace di uccidere l'onore e la vita di tante famiglie. A rileggere quelle carte siamo ad oggi convinti che l'intera vicenda Mastella sarà seppellita da una tragicomica risata ma sul corpo democratico dell'Italia resterà ancora una volta un'indelebile cicatrice.
Geronimo
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