Renzi ci invita a fare sogni grandi. Finirà con gli incubi. Il presidente della Bce, Mario Draghi, tuona dal meeting del Fondo Monetario Internazionale a Lima e mette in mora Matteo Renzi rispetto alle turbolenze dei mercati globali. Il debito pubblico italiano è ancora troppo alto e c'è un forte rischio di «inversione di tendenza degli attuali bassi tassi d'interesse». Tradotto: basta con i trionfalismi.
Non va meglio sul fronte interno, dove la congiuntura economica non è per niente quella che racconta il premier: i negozi continuano a chiudere, con gli immobili in cui si svolgeva l'attività che restano sfitti (rapporto Confesercenti); i prestiti delle banche ai privati diminuiscono (Banca d'Italia); gli sfiduciati in Italia, vale a dire chi il lavoro non lo cerca neanche più, sono il 13% della forza lavoro contro una media Ue del 3,7% (Eurostat); e le donne dopo la gravidanza non rientrano più a lavoro (Istat).
Di fronte a tutta questa incertezza Renzi che fa? Spende e spande. Anzi prende in giro il Paese. Promette e poi fa marcia indietro. Si fa gioco degli italiani, dell'Europa e del Parlamento. Tre esempi emblematici.
Renzi prende in giro gli italiani Il premier è in campagna elettorale perenne, e ogni volta che va in tv non si trattiene dal fare nuovi proclami. Lo ha fatto una settimana fa, a In Mezz'ora , non solo sul tema del canone Rai, ma soprattutto annunciando che il Pil crescerà nel 2015 ancor più di quanto previsto nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def). E userà questo nuovo margine, ha detto sempre Renzi domenica scorsa, per tagliare l'Ires già dal 2016 e non, com'era stato pianificato in principio, dal 2017.
Con questa operazione, che si unisce alla cancellazione delle tasse sulla prima casa e alla disattivazione delle clausole di salvaguardia contenute nella legge di Stabilità, diminuirà la pressione fiscale in Italia.
Appunto, secondo la narrazione di Renzi. Perché quello che, invece, è scritto nei documenti ufficiali del governo, nel triennio 2015-2017 la pressione fiscale in Italia aumenta. Dopo essere aumentata, anche, di tre decimali (dal 43,4% al 43,7%), dal 2014 al 2015, nell'anno degli 80 euro.
A pagina 32 della Nota, infatti, la pressione fiscale a legislazione vigente, vale a dire stando alle norme che sono già legge e non ai sogni del premier, crescerà dal 43,7% del 2015 al 44,2% del 2016 e, ancora, dal 44,2% del 2016 al 44,3% del 2017. Complessivamente, dal 2014, cioè da quando Renzi è a palazzo Chigi, al 2017 la pressione fiscale nel nostro paese aumenta di quasi un punto di Pil (dal 43,4% del 2014 al 44,3% del 2017). Altro che «abbassiamo le tasse».
Queste ultime calerebbero leggermente solo nel passaggio dal «tendenziale» al «programmatico», vale a dire se il governo disinnescasse davvero le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva, fino al 25,5% nel 2018, e delle accise. Ma nel documento presentato a metà settembre il governo non dice come intende farlo, perché, come noto, non sa come farlo. Ed ecco che viene fuori la vera natura di Renzi: quella di imbroglione politico.
Renzi fa il gioco delle tre carte con l'Europa L'intenzione del governo di fare ricorso a nuovi margini di flessibilità europea attraverso l'applicazione della cosiddetta «clausola delle riforme» (per 4 decimali di Pil, pari a circa 6,4 miliardi di euro), della cosiddetta «clausola degli investimenti» (per 3 decimali di Pil, pari a circa 4,8 miliardi di euro) e di una eventuale clausola per l'immigrazione (per 2 decimali di Pil, pari a circa 3,2 miliardi di euro), non ancora decisa a livello Ue, appare del tutto infondata.
Quanto alla «clausola delle riforme», ci sono almeno tre motivi ostativi: 1) il governo ne ha già fatto ricorso lo scorso anno; 2) il governo non può chiedere per due volte consecutive margini di flessibilità riferiti alle medesime riforme; 3) non ricorrono quest'anno le «circostanze eccezionali», vale a dire crescita negativa del Pil e dell'inflazione, cui ci si era appellati un anno fa.
Quanto alla «clausola degli investimenti», ci sono almeno tre motivi ostativi: 1) il fiscal compact impone che il paese che ne fa ricorso abbia un andamento discendente del debito pubblico; 2) il ricorso a tale clausola è legato al cofinanziamento di fondi strutturali europei già stanziati. Ma se gli investimenti non vengono effettuati viene meno per il governo la possibilità di usufruire della flessibilità; 3) il governo italiano non ha ancora speso 8,9 miliardi di Fondi strutturali del Bilancio europeo 2007-2013. Renzi non ha, quindi, la credibilità necessaria per poter chiedere di spendere i Fondi del bilancio europeo 2014-2020.
Il governo dà, quindi, per acquisita una deviazione dal percorso di risanamento dei conti pubblici, in termini di deficit, su cui la Commissione europea e l'Eurogruppo non si sono ancora espressi. Ad ogni modo, le dichiarazioni rilasciate nelle ultime settimane tanto dal presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, quanto dai commissari Moscovici e Dombrovskis, lasciano pensare a margini di manovra di gran lunga inferiori a quelli auspicati dal governo.
Ma se pure all'Italia venisse concesso di aumentare il deficit relativo al 2016 fino al 2,2%, come richiesto dall'esecutivo, pesanti manovre correttive (per 17-18 miliardi di euro) dovranno essere attuate entro il 2017, al fine di riportare l'indebitamento netto all'1,1%, come scritto proprio nella Nota di aggiornamento al Def presentata dallo stesso governo.
Questo dimostra una strategia di politica economica dell'esecutivo miope, del tutto priva di una visione di lungo periodo.
Renzi prende in giro il Parlamento Giovedì 8 ottobre il governo Renzi ha ricevuto, votata a maggioranza assoluta dall'Aula della Camera e da quella del Senato, l'autorizzazione a rinviare al 2018 il pareggio di bilancio, deviando, così, dal percorso di risanamento dei conti pubblici italiani concordato non più di un anno fa con la Commissione europea. Procedura, questa dell'autorizzazione da votare a maggioranza assoluta, prevista dall'articolo 6, comma 3, della Legge n. 243 del 2012, di attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
Ma attenzione: lo stesso articolo prevede che tutto ciò avvenga «sentita la Commissione europea». Lo ha fatto il governo? Se sì, perché non ha fornito al Parlamento, per un sereno dibattito, i documenti attestanti non solo la sua interlocuzione con l'Europa, ma anche la risposta di Bruxelles?
Ricordiamo che dall'atteggiamento dell'Europa dipende tutta la costruzione della legge di Stabilità di imminente presentazione alle Camere. È bene, quindi, che il Parlamento sia a conoscenza non solo delle richieste dell'Italia, ma soprattutto della risposta della Commissione europea. Perché Renzi e Padoan non lo fanno? Nascondono qualcosa?
Questo è il baratro dove ci sta portando il presidente del Consiglio, con palazzo Chigi che ha come unica preoccupazione quella di rincorrere affannosamente gli annunci e le promesse di Renzi, dando giustificazioni incredibili e mettendo nel contempo nel panico il Tesoro e la Ragioneria Generale dello Stato. Il tutto con l'avallo silente del ministro Padoan che, così facendo, nega addirittura la sua storia accademica e di credibile economista, pur di assecondare il premier.
Ma con il pericolo di inversione della congiuntura internazionale denunciato da Draghi, le difficoltà sul fronte interno e tutti gli imbrogli politici del presidente del Consiglio nei confronti del paese, della Commissione europea e del Parlamento, l'Italia rischia di trovarsi presto in mezzo al guado, non solo senza aver risanato i conti, ma anche avendoli gravemente peggiorati.
Con il rancore degli italiani delusi e demoralizzati, per il fatto di essere stati presi in giro. E con una totale perdita di credibilità, a livello interno e internazionale. I sogni, quando sono frutto di cattiva coscienza e di imbrogli, finiscono immancabilmente per trasformarsi in incubi.
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