I salumieri dell'accoglienza un tanto all'etto e i prestinai del buonismo un tanto al chilo, oggi non trovano niente di meglio che affettare sottili distinguo sulla notizia pubblicata ieri dal Giornale. Titolo: «Nell'hotel a 4 stelle del profugo accusato»; catenaccio: «Lucky Awelima era ospitato a spese dello Stato in un comodo hotel da cento euro a notte». I nostri social-detrattori precisano che «la matrimoniale non costa 100 euro, ma solo 83 euro», che «le camere non sembrano di un 4 stelle» e che «l'arredamento è da anni '70». Ci mancava poco che qualcuno scrivesse che Lucky, in realtà, viveva in una topaia.
Ricordiamo a tutti che Awelima non è un «profugo» qualsiasi e non è «accusato» di un reato qualsiasi. Si tratta infatti del nigeriano, sospettato di essere il «macellaio» della povera Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa e fatta a pezzi a Macerata.
Awelima è un «irregolare» - finto profugo (ma sospettato di essere un killer vero) - che lo Stato italiano da un anno e mezzo mantiene vitto e alloggio in un albergo a quattro stelle, l'hotel Recina, tra Montecassiano e Macerata.
Una clamorosa eccezione? No, una clamorosa regola. Pubblicata, l'estate scorsa, da un gruppo di attivisti della Lega di Matteo Salvini, sul sito ilpopulista.it. Un'inchiesta documentata. Che va giù duro fin dalla prima pagina: «Hotel di lusso, ville e piscine. La bella vita dei clandestini in Italia. Vivono in alberghi eccellenti, tra terme e natura incontaminata».
Solo chiacchiere? No, anche tante belle foto. Con didascalie forti come denunce. Si va «dal raffinato quattro stelle Il Canova di Sandrigo (Vicenza) alle piscine dell'Hotel Belvedere a Corleone; dal Genziana di Prada (Verona), comodo alla seggiovia. Si legge nel dossier: «Ecco alcune delle più significative dimore destinate all'accoglienza. Quella all'italiana: tra wi-fi, terme, parchi e piscine, ai profughi (che in grande maggioranza, cifre ufficiali alla mano, si rivelano poi essere clandestini, senza alcun diritto a forme di asilo e di protezione) non facciamo mancare proprio nulla». E poi: «Le immagini parlano chiaro: l'Italia è diventata un'agenzia viaggi per presunti profughi».
Apriti cielo. Rivolta dei radical-chic della rete che gridano alla fake news.
Il quotidiano online Il Post si lancia in una controinchiesta per sbugiardare l'esistenza degli «hotel di lusso che ospitano i profughi». I cronisti de Il Post sostengono di aver verificato indirizzo per indirizzo, località per località e albergo per albergo, accertando la parziale insussitenza di quanto pubblicato dai colleghi de ilpopulista.it.
A un anno da quella «gallery», Il Giornale è tornato a controllare. Risultato: spesso profughi, migranti «in difficoltà» e richiedenti asilo sono ancora lì: in strutture che accolgono anche turisti (quasi sempre le aree per ospiti paganti e stranieri a spese dello Stato sono ben distinte, con le due categorie che, ovviamente, usufruiscono di trattamenti differenziati).
Per intenderci: non è realistico immaginare che ai profughi venga servita la colazione a letto o che godano del centro benessere; evitiamo equivoci: la vita del profugo è - e resta - una vita di stenti e umiliazioni.
In questa triste querelle degli «extracomunitari in hotel» rischia di sfuggire un particolare decisivo: il problema non è infatti indignarsi più o meno dei presunti hotel lussuosi (o solamente dignitosi?) in cui alloggiano i profughi, ma prendere atto del totale delirio nella gestione del fenomeno migratorio in Italia.
«In ogni nostra regione - spiegano al Giornale i curatori del dossier, impegnati ora nell'aggiornamento di dati e cifre - ci sono strutture alberghiere che hanno trasformato in business il mercato dell'accoglienza.
Poi c'è la giungla a base di onlus, società no profit, associazioni e comunità che sfruttano tutto lo sfruttabile. E magari subappaltando i propri ospiti ai negrieri per la raccolta nei campi di frutta e pomodori». Ma questa è un'altra storia. O, forse, il risvolto, di una stessa medaglia.
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