Erano abituati a Marilyn Monroe, Jane Mansfield e Jane Russell, bombe sexy che con le loro forme esplodevano dallo schermo. Ma quand'è arrivata Elsa Martinelli, a metà anni Cinquanta, con la sua eleganza naturale e il suo charme, gli zigomi da tartara e le gambe da gazzella nervosa, tutti hanno pensato subito a Audrey Hepburn.
E infatti Mario Monicelli, che di cinema e donne se ne intendeva, le affidò il ruolo da protagonista in Donatella (Orso d'Argento al festival di Berlino, come migliore attrice) l'anno dopo che la graziosa mannequin nata il 13 gennaio 1935 dalle parti di Grosseto, in una famiglia numerosa, quindi povera - papà Felice nelle Ferrovie dello Stato, mamma Santina dietro agli otto figli - aveva ben figurato nel melodramma di Raffaello Matarazzo La risaia (1955).
E mentre le italiane medie stentavano a superare il metro e cinquanta, ecco che il metro e settantasei di quella toscana altissima ma stranamente erotica e chic, si faceva notare. Ne aveva capito il fascino un grande della moda, Roberto Capucci, il giorno che lei, commessa di un bar di via del Tritone, a Roma, s'era infilata una gonna tagliata di sbieco provando abiti in una boutique di via Frattina. Una popolana col fisico da pin-up non s'era ancora vista, nella capitale del dopoguerra che perdeva la testa per le maggiorate. E fu subito copertina su Life, dove Kirk Douglas la vide, innamorandosene: la volle sul set di Cacciatori di indiani (1955), dove Elsa si muoveva a suo agio, avendo recitato con Autant-Lara l'anno prima, in L'uomo e il diavolo.
A poco più di vent'anni, la Martinelli seduce Hollywood e Roma, facendo la spola di qua e di là dell'Oceano: La notte brava di Mauro Bolognini (1959) e Il processo di Orson Welles (1962) e, ancora, La decima vittima (1965) di Elio Petri muovono un'altalena ricca di successi e buone critiche.
E le fanno conoscere il Tevere che conta: Alberto Sordi, che per lei non è tirchio (lo racconta nell'autobiografia Dalla dolce vita e ritorno, Rusconi, 1995) e Marcello Mastroianni, più sofisticato che bello, sempre secondo lei.
A Los Angeles Gary Cooper beve champagne dalla sua scarpa di raso, per darle il benvenuto e Frank Sinatra la trascina una relazione torrida: a settant'anni, Elsa confessò di vivere una vita sessuale ancora attiva. Insomma, dalla sua splendida casa in Piazza del Popolo a Roma, l'indossatrice, l'animatrice del bel mondo, l'attrice, si godeva i tramonti romani, sempre pensando che la magrezza l'avrebbe messa al riparo dalle malattie.
«Con i vestiti che mi stanno ancora a pennello, cosa posso fare? La nonnina con l'uncinetto in mano?», si schermiva, quando le chiedevano se fare la parte della perfida duchessa, nella fiction televisiva Orgoglio, l'avesse messa in imbarazzo.
Diva controvoglia, le piaceva condurre una vita normale: andava al cinema e al mercato e, con la stessa noncuranza da proletaria di classe, seppe dire di no a Lelouche, che la richiedeva per Un uomo e una donna. «Se gli levi la musica, a quel film, che cosa gli resta?», sfotticchiava.
Pure il socialista Bettino Craxi ebbe un suo gran rifiuto: le aveva chiesto di curare il suo look, perché donna di mondo, ma Elsa
temeva di trovarselo davanti in vestaglia... Sposata nel 1957 col conte Mancinelli Scotti, padre della loro Cristiana, è stata Sette volte donna (1967), per citare il film di De Sica con lei. Senza perdere un filo di allure.
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