Adieu Ungaro, il maestro che amava le donne

Francese di origini pugliesi, lavorava col camice e la musica ispirava i suoi abiti

Adieu Ungaro, il maestro che amava le donne

«Vorrei creare abiti con gli stessi ritmi e le stesse armonie dei quartetti d'archi di Beethoven» diceva Emanuel Ungaro nel suo atelier di Avenue Montaigne dove riceveva la stampa italiana per quegli incontri pre-sfilata che tra colleghi definivamo «la Messa cantata». C'era in effetti un'atmosfera sacrale intorno a lui un po' perché al lavoro indossava sempre il camice bianco della grande tradizione sartoriale francese, un po' perché in sua presenza si ascoltava sempre musica classica e operistica: la più bella colonna sonora che si possa immaginare. Nato ad Aix-en-Provence nel 1933 e morto l'altra notte a Parigi, Monsieur Ungaro era di origini italiane per via del padre, Cosimo, bravissimo sarto pugliese fuggito in Francia perché visceralmente antifascista. «Ho imparato le basi del mestiere da lui» amava dire raccontando delle stoffe bagnate e pressate almeno tre volte con un pesante ferro di ghisa prima di procedere al taglio. Aggiungeva poi quasi en passant di aver lavorato nell'atelier di Cristobal Balenciaga che lui chiamava «il mio maestro» ma che per tutti gli addetti ai lavori dell'eleganza è «il Picasso della moda». Anche Ungaro del resto sapeva fare forme mirabolanti con le stoffe: drappeggi degni di Mamame Grés, tagli in sbieco all'altezza di Vionnet, ruche e volant di ogni forma e dimensione. É stato l'ultimo dei couturier a vendere i cosiddetti «patron», ovvero i cartamodelli delle sue creazioni di alta moda ai sarti in giro per il mondo.

Aprì il suo primo atelier nel 1965, in un palazzo signorile del XVII arrondissement. Ben presto si spostò in centro conquistando quel tipo di clientela che difficilmente si sarebbe rivolta a Yves Saint Laurent considerato all'epoca troppo rivoluzionario e anticonformista. Tra signore e signorine di buona famiglia che consideravano il maggio francese come un fenomeno irrilevante e il femminismo come l'ultima delle jatture, Ungaro era invece noto come «lo stilista che ama le donne». Gli piaceva molto sentirselo dire e non perdeva occasione di omaggiare le sue muse. La prima fu Anouk Aimee, bellissima e bravissima attrice che non mancava mai alle sue sfilate vestita con i classici tailleur di Monsieur che prevedevano microgiacchine dalle spalle ben insellate sopra a piccole gonne drappeggiate generalmente a pois oppure con grandi fantasie mixate tra loro. La seconda musa è stata sua moglie, Laura Bernabei Fanfani, madre della figlia Cosima e suo insostituibile braccio destro sul lavoro. Nel 1996 Ungaro cede la Maison ai Ferragamo restando direttore creativo del brand. Il suo prét-à-porter pieno di colori e iperfemminile non ha più l'appeal di una volta perché stanno emergendo stilisti d'avanguardia come Rei Kawakubo di Comme des Garçons o Yohji Yamamoto, ma certo ha ancora un fatturato non indifferente anche e soprattutto grazie al successo planetario di Diva, il profumo creato per lui da Jacques Poldge, mitico essenziere di Chanel.

Monsieur individua anche un delfino di grande talento come Giambattista Valli. Le cose però precipitano e nel 2004, due anni dopo Yves Saint Laurent, anche lui lascia la moda. Da quel momento in poi sulla sua poltrona si sono avvicendati designer d'ogni tipo ai quali bisogna poi aggiungere i continui cambi di proprietà. Nel 2012 entra in scena con un accordo di licenza la Aeffe di Alberta e Massimo Ferretti. Con loro arriva anche Fausto Puglisi che ha un innegabile talento. Purtroppo l'ottimo mix dura solo qualche stagione e misteriosamente finisce.

Adesso si è da poco fatta avanti una nuova compagine stilistica e imprenditoriale che al prossimo Pitti Uomo di Firenze debutterà nella moda maschile. Speriamo in bene. Nel nome di un uomo colto ed educato che i francesi chiamano Ungarò ma che per noi italiani è motivo di orgoglio.

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