Politica

"Aiutano chi lavora in nero. È il governo dell'assurdo"

Nel nuovo saggio di Renzi un duro j'accuse ai grillini «Per loro non aver studiato è un onore da sbandierare»

"Aiutano chi lavora in nero. È il governo dell'assurdo"

L'intera manovra della legge di bilancio 2019 opera del governo populista è una contraddizione. Non mi riferisco agli aspetti formali di una legge che arriva last minute senza dare la possibilità alle commissioni competenti di approfondire alcunché. Non è solo questo il problema. Intendo proprio dire che, nella sostanza, la legge di bilancio voluta dal governo del cambiamento è una legge contro il lavoro.

Siamo una repubblica democratica fondata sul lavoro e il Parlamento ha approvato la legge più importante, quella di bilancio, con provvedimenti finalizzati a favorire chi vuole smettere di lavorare o chi lavora in nero. Il trionfo dell'assurdo.

Che il percorso per la legge di bilancio abbia tratti di originalità, d'altronde, si capisce dal primo atto: l'approvazione del quadro economico del Def. Si tratta di un passaggio burocratico complicato, tradizionalmente figlio di un'articolata negoziazione in sede europea. Luigi Di Maio, invece, lo concepisce come uno show. E addirittura si affaccia dal balcone di Palazzo Chigi onore riservato nell'ultimo mezzo secolo solo al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini dopo la vittoria dei mondiali di calcio del 1982 e proclama con enfasi e voce stentorea la fine della povertà. In un paese normale questo sarebbe il momento in cui vengono chiamati gli infermieri e il malcapitato viene accompagnato presso una struttura ospedaliera per capire che è successo (...).

Il balcone è il simbolo della visione che i populisti hanno delle istituzioni. I loro non sono parlamentari che possono emendare le leggi di bilancio, ma ultras che devono assistere, facendo da claque, a performance che poi diventano virali sui social, totalmente uniformi nel criterio, secondo uno schema consolidato: un'iperbole («Abbiamo abolito la povertà»), un gesto eclatante e simbolico catturato da uno scatto fotografico (Di Maio che esulta dal balcone), la presunta relazione con il popolo che esalta ed esulta. (...)

Ma il vero problema è che il populista non calcola le conseguenze del balcone. Quest'ultimo non permette una corrispondenza paritaria fra il leader e la sua comunità, fra l'istituzione e il popolo che viene mantenuto in una posizione di subalternità. Il balcone è profondamente antidemocratico: non a caso la lesione delle prerogative costituzionali dei parlamentari, non solo di opposizione ma anche di maggioranza, consumatasi nella vicenda della legge di bilancio, in cui è stato impedito non solo di emendare, ma in alcuni casi addirittura di conoscere il testo, è figlia di quella stessa cultura, non è frutto di un ritardo. (...) Ma un altro elemento, forse ancora più grave, è che il balcone viene inquadrato non solo dalle telecamere, ma anche dai mercati internazionali.

Non è un caso che l'immagine di Di Maio entusiasta sul balcone come se avesse vinto il Tour de France faccia il giro del mondo diventando la foto notizia di prima pagina del Financial Times e dal giorno dopo lo spread schizzi verso l'alto causando un danno miliardario ai conti pubblici italiani. Non è facile riuscire a farsi del male da soli, così tanto. (...)

Il reddito di cittadinanza è contro il lavoro.

Il no alle infrastrutture è contro il lavoro.

I prepensionamenti sono contro il lavoro.

Si sta facendo largo nella sinistra più tradizionale l'idea di difendere e sposare il reddito di cittadinanza. In fondo, si sussurra, si tratta pur sempre di una misura contro la povertà. Accettare questa lettura significa avere una visione davvero superficiale del Movimento 5 Stelle e della filosofia che lo pervade. Ma significa anche tradire l'idea stessa di lavoro. Perché l'unico modo per combattere la povertà è creare ricchezza, benessere, occupazione. Servono crescita e investimenti, non assistenzialismo e decrescita.

Ma il populismo non si limita a confinare il futuro nel campo dell'incertezza. Il populismo sdogana l'ignoranza, specula sull'ignoranza, fa il tifo per l'ignoranza. Non sai niente? Non è un problema, la competenza non vale. Il merito è una parolaccia, quello che conta è essere come gli altri. Tanto siamo tutti uguali, uno vale uno, non importa il titolo di studio o il percorso di laurea: siamo tutti alla pari su Facebook. Il curriculum non vale, anzi. (...) Non aver completato gli studi diventa un punto d'onore da sbandierare, la certificazione di una normalità che deve rassicurare. Generazioni di operai hanno fatto sacrifici, si sono spezzate la schiena perché il figlio, la figlia potessero ottenere l'agognato «pezzo di carta»: era considerato un valore. Oggi questo impianto meritocratico sembra crollare. (...)

E quando a Porta a Porta il viceministro dell'economia Laura Castelli si confronta con l'ex ministro Pier Carlo Padoan sono due pianeti che entrano in rotta di collisione. Da un lato lei, grillina, con il curriculm da addetta alla sicurezza presso lo stadio di Torino. Dall'altro lui, democratico, già direttore esecutivo per l'Italia del Fondo monetario internazionale, capo economista all'Ocse, docente di Economia che ha insegnato a Roma e tenuto lezioni nelle università di mezzo mondo. Padoan, pazientemente, si dispone a spiegare dal punto di vista strettamente tecnico l'impatto che lo spread produce sull'economia reale e sui mutui. Castelli, incapace di rispondere nel merito, totalmente inidonea ad affrontare una discussione contenutistica, se ne esce nel modo più semplice e disarmante: «Eh, ma questo lo dice lei!». No, non lo dice lui. Lo dice l'intera comunità scientifica internazionale che Castelli non conosce perché non ha studiato. O, se ha studiato, non ha capito. La cosa stupefacente è, però, il dibattito sui social che segue la performance della Castelli. Il refrain grillino è presto detto: attaccate Padoan perché è élite, ricordategli quando non seppe rispondere alla domanda su quanto costa un litro di latte. (...) Ed effettivamente ci si riferisce a un avvenimento realmente accaduto durante una puntata di Porta a Porta, nel vivo del confronto sul referendum costituzionale, quando Matteo Salvini aggredì Pier Carlo Padoan chiedendogli: «Lei sa quanto costa un litro di latte?». Una scena diventata cult. Perché per il populista, Salvini o Castelli che sia, conta mostrare che il competente è distante dalla vita quotidiana. Nella loro visione è importante che il ministro dell'Economia sia informato sul prezzo del latte, non che sappia come funzionano i mutui, come cresce il Pil, come aumenta l'occupazione. No. Bisogna sapere quanto costa un litro di latte.

Se non lo sa, il ragionamento logico è inoppugnabile: «E lei vuole cambiare la Costituzione senza nemmeno sapere quanto costa un litro di latte?».

Commenti