È sulla comunità tunisina che l'intelligence italiana punta la sua attenzione. In seno alla stessa, infatti, si nasconderebbero possibili foreign fighter pronti a compiere attentati anche nel nostro Paese.
Era tunisino Anis Amri, l'attentatore di Berlino ucciso da due valorosi agenti di polizia a Milano, lo sono molti dei numerosi espulsi dall'Italia perché ritenuti legati all'Isis o, nel minore dei casi, simpatizzanti del Califfato islamico. Ma c'è una ragione del perché la Tunisia sia il cuore di questo odio verso l'Occidente.
Tutto cominciò il 18 dicembre del 2010, quando Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protesta a Tunisi contro i maltrattamenti subiti dalla polizia. Da lì la rivoluzione dei gelsomini portò a quella primavera araba che è stata l'inizio della fine.
La morte di Gheddafi, il dittatore che reggeva l'equilibrio del Nord Africa, ha causato un esodo di persone dalla Libia verso la Tunisia e dalla Tunisia sui barconi, verso l'Italia. Gli inviati che nel 2011 erano a Sfax o Zarzis hanno visto salire su quei barconi i primi giovani carichi di belle speranze, ex galeotti, nullatenenti, ma soprattutto persone che, a modo loro, odiavano l'Occidente, ben più ricco e avanzato della calda terra tunisina.
Il passo per mischiarsi ai nuovi combattenti, quelli del 21esimo secolo, è stato breve. L'odio incanalato verso l'Europa, colpevole di aver creato scompiglio «in terra loro», si è fatto sempre più forte e ha portato oggi a una radicalizzazione crescente.
Gli episodi si sprecano. Solo per fare qualche esempio, fu l'ex ministro dell'Interno Angelino Alfano a comunicare, ad agosto scorso, l'espulsione «di due tunisini collegati all'Isis».
Si ricorderà poi Bilel Chihaoui, il giovane simpatizzante della jihad che minacciò di farsi esplodere accanto alla torre di Pisa.
Di due giorni fa, invece, la notizia di un altro tunisino rimpatriato da Edolo, nel Bresciano: avrebbe avuto incarichi per attentati nel nostro Paese. Per questo profili Facebook, Twitter e su altri social dei soggetti in qualche modo «attenzionati» vengono monitorati costantemente.
L'intelligence è al lavoro senza sosta per scongiurare attentati terroristici. «C'è molta preoccupazione - spiega il segretario generale del Sap (sindacato autonomo di polizia), Gianni Tonelli - . L'attentatore ucciso è tunisino e si teme che i foreign fighter nati in seno a quella comunità dopo la primavera araba abbiano intenzione di vendicarlo».
Prosegue poi: «Il questore di Roma Niccolò D'Angelo, anziché raccomandare ai suoi uomini di adottare misure di prevenzione, dovrebbe ricordarsi che lo scorso anno punì quattro
agenti che avevano raccontato alla stampa che dovevano lavorare per l'antiterrorismo con giubbotti antiproiettile scaduti, caschi marci e M-12 degli anni Settanta. Nulla è cambiato da allora. Speriamo non accada mai niente».
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