Politica

«Americani disillusi, amano solo l'esercito»

L'ex capo di Gabinetto della Casa Bianca analizza il voto: «Non mi fido di Trump»

Lucia Galli

Chicago Nella Gotham city dei film, la realtà del day after brucia più del game over. Chicago è feudo democratico per eccellenza: da qui, grazie alla scuola politica dell'Illinois - quella della dinastia dei sindaci Daley con 43 anni di governo in due, fra padre e figlio dal 1955 al 2011 Obama e anche Hillary Clinton hanno pensato ad un'America stronger together. Fino all'altra notte, quando The Donald ha ribaltato il banco. William Daley, classe 1948, come padre e fratello primi cittadini della windy city, è avvocato e politico di lungo corso: accanto a Bill Clinton a fine Anni '90, è a capo della campagna di Al Gore nel 2000, poi insieme ad Obama anche nella situation room, in quella notte di maggio del 2011, quando fu stanato Bill Laden. Sul futuro dei Dem, lui, da tutti descritto come un grande organizzatore, capace «Non solo di far arrivare i treni in orario, ma perfino in anticipo», azzera la delusione e propone la sua ricetta.

Quanto è deluso dal risultato?

«Più che deluso mi sento turbato. Questa campagna è stata molto aspra e controversa, come non era mai accaduto»

Che cosa hanno sbagliato Hillary Clinton o i dem?

«Non vedo errori evidenti, nemmeno nel partito. Quando è iniziata la campagna, l'America stava già affrontando un periodo di grande incertezza. Già il punto di partenza da cui si è mossa Clinton era molto complicato con un elettorato diviso in troppe anime diverse».

Hanno detto che Clinton rappresentava l'establishment e che non abbia avuto molto appeal proprio sull'elettorato femminile.

«Certamente le letture possibili sono molte ma credo che a pesare sia stata un'altra cosa».

E cioè?

«Tranne che per l'esercito, gli americani, negli ultimi tempi, hanno una crescente disaffezione per le istituzioni. Questo ha pesato sui Dem e sulla loro capacità di attrarre il consenso».

La stessa cosa poteva valere per Trump che però ha attratto ricchi e middle class.

«Lui ha puntato sulle divisioni, non sull'inclusione. Ora vedremo come trasformerà i discorsi ad effetto in una politica articolata».

È questa la più grande paura di fronte ad un homo novus della politica? Nei sondaggi la gente chiedeva un cambiamento

«Mister Trump è stato un candidato fuori dagli schemi, una cosa mai vista negli Usa. Nel suo primo discorso da Presidente eletto ha detto come si fa sempre - che sarà il presidente di tutti, ma il mio vero timore è che non riuscirà ad unirci affatto. I miracoli non si fanno nemmeno da eletti. D'altro canto se non agisce in questo senso o se ammorbidisse molto le sue posizioni, i primi delusi sarebbero proprio i suoi elettori».

Un assist per far ricompattare i Dem?

«Credo che i Dem abbiano di fronte a loro due chance: o agire come fecero in passato con Obama i Repubblicani, provando cioè a bloccare tutto e a creare stallo, oppure lasciar almeno imbastire il governo di Trump, chiedendogli, però, con chiarezza di mostrare le sue carte. Concretamente. Punto per punto, non solo in modo generico e demagogico».

L'Fbi ha giocato un ruolo pesante nella campagna: con Trump presidente quali possono essere i rapporti?

«Così come Trump è un candidato sui generis, così, immagino, sarà molto personale il suo rapporto con l'Fbi. È però chiaro che questa campagna elettorale è stata pesantemente influenzata dall'azione dell'Fbi contro Clinton».

Qual è l'eredità più importante che Obama lascia e che nemmeno Trump dovrebbe disperdere?

«Obama ha il grande merito di aver parlato davvero a tutti in America, senza distinzione di classe, razza, età. Trump? Vuole togliere l'assicurazione Obamacare a 20 milioni di americani? E poi? Che cosa c'è oltre i suoi slogan? Oltre ai temi sociali, c'è l'economia da far girare».

In politica estera quale può essere lo scenario?

«Aspettiamo tutti di capire che cosa c'è nella testa del presidente Trump: la cosa più sconvolgente è non sapere quale sia la sua idea. Capiremo molto dalla nomina del segretario di Stato».

Quanto le manca la Casa Bianca?

«È stato un grandissimo onore. Mi manca in qualche modo, ma quel tempo è finito»

Ora che i Cubs hanno vinto dopo 108 anni le world series di baseball, che cosa si può ancora aspettare la sua Chicago dal governo nazionale?

«I Dem hanno sempre avuto grande attenzione per le questioni locali. Speriamo un presidente repubblicano ne tenga conto. Altrimenti...».

Che cosa?

«Almeno con i Cubs abbiamo vinto!».

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