Anche M5s spaventa i mercati: tassi di populismo come nel '39

Studio di un fondo: solo alla vigilia della Seconda guerra si sono percepiti nel mondo valori di allarme così alti

Anche M5s spaventa i mercati: tassi di populismo come nel '39

Inquietudine sui mercati finanziari. Detta così, considerati i tempi, quasi una «non-notizia». Col mondo destinato a radicalizzarsi, l'Ue in brandelli, Usa e Urss che tornano a guardarsi in cagnesco a dispetto di una (sospetta) simpatia tra Putin e Trump, - e quest'ultimo pronto a scatenare guerre commerciali contro chiunque ostacoli lo slogan America first -, si faticherebbe pure a immaginare operatori di borsa e investitori sereni e fiduciosi per l'avvenire.

Ma se in Europa si guarda con ansia alle elezioni francesi per la Le Pen, negli States c'è chi va oltre, prefigurando scenari pre-bellici. Ma davvero si replicano condizioni per il ritorno di un Hitler o di un Mussolini? Andiamoci piano. Il nemico pubblico viene indicato con un nome allo stesso tempo specifico e generico: populismo (sarebbe meglio parlare di populismi). Ovvero quella crescente diffidenza delle classi popolari nei confronti delle élite causata dalla loro gestione dell'economia. Il distacco tra primi e ultimi è diventato voragine; quel che è peggio, anche la classe media vi precipita dentro. Ecco perché è lecito chiedersi se l'analisi pubblicata dall'Huffington post e firmata Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo (ovvero i gestori dei patrimoni istituzionali con altissimi tassi speculativi, tipo scommesse sui trend dei mercati) finisce per essere un po' sospetta. La paura c'è, sarebbe sbagliato sottovalutarla. Eppure BA fa un passo in più: attraverso indici da loro stabiliti, assegna un valore a ciò che accadeva negli anni Trenta, così da confrontarli con i valori ricavati dall'attualità. Vien fuori che il tasso di «populismo» odierno (tabella in basso) è già al 35 per cento, valore simile a quello del decennio che precedette la Seconda guerra mondiale. Il tetto del '38, quando tale indice toccò il 40 per cento, non è poi così lontano (il primo settembre del '39 Hitler invadeva la Polonia).

In questo sforzo di cui paiono intravvedersi alcuni intenti - il colosso Bridgewater fondato da Ray Dalio nel '75 pullula di ex uomini Cia e Nsa assunti per la loro rete di rapporti e capacità analitiche; il fondatore, le cui capacità sono avvolte da alone leggendario, a 12 anni comprò 300 dollari di azioni Northeast Airlines rivendendole con grandi guadagni di lì a poco, quando la compagnia si fuse con Delta -, nello sforzo di dare nome al nemico da battere, si diceva, lo studio degli esperti BA poi specifica di non voler creare allarmismo in quanto questo nuovo populismo di matrice post-modern sarebbe «meno aggressivo» di quello del passato (il cui vero nome, volendo sfilare qualche ipocrita velo, era più semplice e chiaro da capire: «fascismo»). Nella definizione dell'indice sono stati presi in considerazione 14 leader populisti che hanno fatto politica in una decina di paesi: da Trump a Chavez. Nonché i partiti e i movimenti che si segnalano sul fronte populista: in Italia i Cinque Stelle, in Gran Bretagna l'Ukip di Farage, l'Afd in Germania, il Front national della Le Pen in Francia, Podemos in Spagna. Non sono entrati nei parametri della ricerca, spiegano ancora gli analisti del Connecticut, il turco Erdogan e il filippino Duterte. Cruciale la domanda finale dello studio: al di là della paura in Borsa, il populismo farà bene o male all'economia? «Crediamo che il suo ruolo nel determinare le condizioni economiche sarà più potente delle politiche monetarie e fiscali classiche», scrivono.

Così non mancano elementi positivi, tipo che Trump al momento non ha provocato i temuti sconquassi, e quelli negativi, tipo la crisi dell'euro. Come dire che, sfilata via la coperta populista, ogni previsione dipende da una monetina lanciata in aria. Qualcosa ricordavamo.

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