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Appendino, ipocrisia a 5 stelle. Condannata a 6 mesi non lascia

La sindaca di Torino non rispetta le regole interne. "Io in buona fede, mi autosospendo solo dal partito"

Appendino, ipocrisia a 5 stelle. Condannata a 6 mesi non lascia

Se avesse rispettato lo statuto del suo partito, avrebbe dovuto dimettersi ieri sera da sindaco di Torino, in nome della ferrea regola grillina sui condannati anche solo in primo grado. Invece Chiara Appendino fa esattamente il contrario: rimane sindaco, e lascia i 5 Stelle. Tecnicamente il sindaco parla di «autosospensione», ma la rottura con il Movimento rischia di essere insanabile, atto finale di un rapporto mai facile. E che ora potrebbe essere messo definitivamente in crisi dalla condanna della Appendino a sei mesi di carcere e dalla sua decisione di restare attaccata alla poltrona di Palazzo di Città.

La condanna arriva al termine del processo con rito abbreviato, chiesto dal sindaco per cercare di limitare i danni. Poteva andarle peggio: la Procura aveva chiesto per lei 14 mesi di carcere per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico, il giudice la assolve per il primo reato e la condanna per il secondo. Non è solo una questione di otto mesi in meno: se fosse stata dichiarata colpevole anche di abuso la Appendino sarebbe decaduta immediatamente dalla carica in base alla legge Severino. E, a differenza dello statuto dei 5 Stelle, quella norma non era facile da aggirare.

Al centro di tutto ci sono i pasticci che subito dopo essere entrata in carica la Appendino decise di fare per abbellire il bilancio comunale, evitando che la crisi finanziaria emergesse in tutta la sua chiarezza. D'altronde il risanamento dei conti pubblici era stato uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna vincente contro il sindaco uscente, il piddino Piero Fassino.

Tra le prime rogne sul tavolo, la Appendino si trovò la necessità di restituire cinque milioni di euro ad una società, la Ream, che li aveva versati come caparra di una privatizzazione poi non andata in porto. Per non mettere a nudo nel 2016 e nemmeno nel 2017 il «buco» da cinque milioni, la neosindaca il 30 novembre 2016 scrisse all'assessore al Bilancio: «Stante le trattative in corso su varie partite aperte con la città non è prevista la restituzione dei 5 milioni anticipati da Ream». Un falso, hanno sostenuto in aula i pm nella loro requisitoria, «mosso dall'interesse politico e non dall'interesse pubblico».

Il giudice, con singolare buon senso, ieri aveva deciso di pronunciare la sentenza dopo la chiusura dei seggi, per non interferire con referendum e elezioni. Ma l'impatto politico è inevitabile. Il sindaco sottolinea l'assoluzione dal reato più ingombrante e rimarca di non avere tratto alcun vantaggio personale dalla vicenda: «Se è stato fatto questo errore è stato fatto in assoluta buona fede e senza alcuna volontarietà di commettere il falso». Ma le opposizioni premono sull'acceleratore della polemica, «il giochetto di autosospendersi dal partito per evitare così di dover sottostare alle regole etico morali grilline propagandate per anni - scrivono i deputati torinesi di Forza Italia - rappresenta la fine indegna del mandato di un sindaco. Il giacobinismo del M5s si ferma quando a finire nel tritacarne è un loro esponente».

A rendere delicata la posizione della Appendino c'è l'altro processo in corso a suo carico, dove è imputata di omicidio colposo per la morte di due donne durante la proiezione in piazza San Carlo della finale di Champions League nel giugno 2017. Prima dell'estate è stata confermata in appello la condanna per omicidio preterintenzionale dei quattro giovani ladri che scatenarono il panico con lo spray al peperoncino.

Al momento della sentenza i legali dei familiari delle vittime auspicarono che «dopo l'estate si inizino ad accertare anche le responsabilità di coloro che hanno preparato gli ingredienti della tragedia», consentendo che la piazza si trasformasse in una trappola senza vie di fuga: al primo posto, sul banco degli imputati, la sindaca (ex) grillina.

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