«Autopsia da macellai» E una donna smentisce la versione del governo

Le salme a Roma: i medici di Tripoli avrebbero cancellato tracce scomode dai corpi di Failla e Piano. Una testimone: «Sequestrati dall'Isis poi uccisi dai miliziani per rubare il riscatto»

«In un'auto c'erano i soldi del riscatto. I ribelli l'hanno incendiata e hanno ucciso gli ostaggi perché nessuno doveva metterci le mani sopra». È la versione di una donna tunisina, Wahida bin Mukhtar, membro del commando di sequestratori degli italiani in Libia, diffusa ieri sera a Piazza Pulita su La7. La donna avrebbe postato un video su Facebook in cui racconta l'assalto delle forze libiche a Sabrata dove sono rimasti uccisi Salvatore Failla e Fausto Piano. «Eravamo in auto in una zona di pianura. Ci siamo fermati per mangiare - racconta -. Quando abbiamo finito siamo tornati alle auto. Uno dei militanti ci ha dato l'allarme. I ribelli hanno aperto il fuoco, noi abbiamo urlato: Fermi, mettiamoci d'accordo. Ma i ribelli hanno sparato ancora, una pallottola ha colpito mio figlio. In un'altra macchina c'erano i soldi del riscatto degli ostaggi. I ribelli le hanno dato fuoco e hanno ucciso gli ostaggi...». Se questa testimonianza fosse veritiera, la ricostruzione fornita dal governo sarebbe smentita in almeno tre punti: il pagamento del riscatto, l'esistenza di una trattativa e il coinvolgimento dell'Isis nel rapimento.Di certo sui corpi di Salvatore Failla e Fausto Piano non ci sono colpi alla nuca. Non è stata un'esecuzione, dunque. I due tecnici italiani rapiti in Libia il 20 luglio del 2015 sarebbero stati uccisi nel corso di un agguato da una raffica di colpi di arma da fuoco, sparati probabilmente dalle milizie della municipalità di Sabrata e non dai loro carcerieri. Più di questo, però, l'autopsia eseguita ieri al Policlinico Gemelli di Roma non ha potuto stabilire, perché quella effettuata in precedenza a Tripoli, nonostante la moglie di Failla avesse in tutti i modi cercato di impedirla, ha reso molto difficile il lavoro dei medici legali.«Più che un'autopsia è stata una macelleria», attacca l'avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, che come legale della famiglia Failla può usare toni diversi da quelli più tecnici dei suoi consulenti, Luisa Regimenti e Orazio Cascio. I periti non sono riusciti a stabilire il tipo di arma usata per uccidere, la distanza dalla quale sono stati sparati i colpi e la loro traiettoria perché durante l'esame autoptico i «colleghi» libici hanno estratto parti di tessuto determinanti rendendo impossibile l'individuazione dei fori di ingresso e di quelli d'uscita. Inoltre ai consulenti non sono stati consegnati i vestiti che indossavano le vittime, né il video dell'esame autoptico. I cadaveri, poi, sono stati lavati, cancellando presumibilmente altre tracce importanti. «Quello che ci hanno detto oggi i medici legali è di inaudita gravità - spiega il legale -. È stato fatto qualcosa volutamente, hanno eliminato l'unica prova oggettiva e determinante per la ricostruzione della dinamica dei fatti». L'avvocato Caroleo Grimaldi è un osso duro, vuole andare fino in fondo. Ma i punti oscuri di questa vicenda rimangono molti. «Per avere l'esito definitivo dell'autopsia ci vorranno due mesi - sostiene - poi sarà il momento di parlare delle responsabilità penali, per quanto riguarda il comportamento tenuto dalla Bonatti, e di quelle politiche per come è stato gestito il sequestro». Contrariamente a quanto era stato detto giorni fa da membri del governo di Tripoli, Failla è stato ucciso dai proiettili che lo hanno raggiunto allo sterno e nella zona lombare lesionando il fegato e i grandi vasi sanguigni, Piano invece dai colpi al torace. Un'autopsia frettolosa, quella libica, effettuata con modalità diverse da quelle utilizzate nei nostri istituti di medicina legale e alla quale non avrebbe partecipato, come invece era stato assicurato, alcun medico inviato dalla Farnesina. I periti di parte non vanno oltre, non azzardano ipotesi di manomissioni volontarie.

Caroleo Grimaldi, invece, è più esplicito, parla di una decisione presa deliberatamente proprio per impedire l'accertamento dei fatti. Non si sbilancia invece sull'ipotesi di eventuali responsabilità del governo che non avrebbe fatto abbastanza per scongiurarla: «C'è stato un rapporto di forza e lo abbiamo perso, questo è un dato oggettivo».

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