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Avrebbe ucciso un paziente: processo all'infermiera da rifare

Cassazione, assoluzione annullata per Daniela Poggiali

L'infermiera Daniela Poggiali
L'infermiera Daniela Poggiali

Tutto da rifare. La Giustizia fa il suo corso, ma a volte ne serve un altro, o meglio tre, come in questo caso, per arrivare alla verità. Così la palla torna al centro e il dubbio torna a mordere per capire se una donna sia un'assassina spietata o una vittima innocente. Non conforta l'iter giudiziario di Daniela Poggiali, 46enne ex infermiera di Lugo di Romagna, accusata di aver ucciso una paziente, nel 2014, con una iniezione letale di cloruro di potassio. Ergastolo nel 2016: carcere a vita, fu la sentenza di primo grado, secondo i giudici di Ravenna. Assoluzione piena, il verdetto ribaltato in appello a Bologna nel 2017. E ora il terzo colpo di scena a firma della prima sezione della Cassazione: si torna in appello a Bologna per un processo bis che sarà celebrato in autunno.

Era una mattina di aprile 2014 quando Maria Grazia Russo, viene fatta allontanare dalla camera della madre. In azione entra Daniela Poggiali: poco dopo Rosa Calderoni, 78 anni, madre della Russo, spira. L'indagine che si apre è per omicidio volontario, ma fa luce anche su una serie di furti di denaro e medicinali che si sono verificati in ospedale, sempre quando la Poggiali era in servizio. Anche un'altra catena di morti scatena ben più di un sospetto, senza però mai entrare nel filone principale delle indagini che porta, nel 2016 al primo drastico verdetto di ergastolo: l'infermiera ha agito con crudeltà premeditazione. Per lei si aprono le porte del carcere, prima a Forlì, poi a Bologna. Ma poco più di due anni dopo l'appello ribalta tutto. Una perizia a lei favorevole aveva diradato ogni ragionevole dubbio: non era stata l'infermiera, non la sua mano, non quell'iniezione ad essere letale per la paziente ricoverata all'Umberto I. L'infermiera viene scarcerata. A suo carico restano i furti oltre ad un'odiosa serie di foto accanto al cadavere di un'altra paziente appena spirata. Un «vizietto» moralmente obbrobrioso che le era valso, oltre alla radiazione dall'albo, una condanna a 4 anni appena passata in giudicato. Uscendo dal carcere: «Mi hanno dipinto per ciò che non sono, ora intendo riprendermi la mia vita».

La Procura di Bologna ha fatto ricorso in Cassazione e ora, dopo il terzo ribaltamento del verdetto, per la Poggiali potrebbero riaprirsi le porte del carcere, mentre si va a caccia della verità come di un tesoro. La donna ha affidato al suo legale, Lorenzo Valgimigli, le sue prime parole dopo questa ulteriore capriola giudiziaria: «Sono serena e sicura che la verità verrà a galla».

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