Settemila corpi di migranti giacciono in fondo al Mediterraneo ma non sono sulla nostra coscienza. Sono il frutto di regimi iniqui, di guerre tribali e fanatismi, di scafisti assassini, di miserie acute che non provengono dal colonialismo, ormai remoto nel tempo. Semmai subiscono il richiamo dei miraggi fallaci della globalizzazione. Smettiamola di accusarci di colpe che non abbiamo. La nostra colpa evidente e recente è di aver favorito rivoluzioni che hanno peggiorato la situazione del Medio Oriente e dell'Africa, aprendo le porte ai peggiori invasati dell'Islam. Appena viene abbattuto un regime autoritario, l'unico collante che lo sostituisce è la Fratellanza islamica con le fazioni più radicali. Che sono per metà figlie del fanatismo indigeno e per metà figlie del fanatismo giacobino d'importazione europea. Non a caso li chiamiamo terroristi; la parola proviene dai fondi oscuri della nostra storia, il Terrore instaurato in Francia dopo la Rivoluzione francese dai giacobini. Anche allora si trattò di una rivoluzione sorta nel nome della libertà e dell'uguaglianza e poi sfociata nel genocidio e nella ghigliottina. I fanatici euro-islamici si sono formati nelle nostre scuole e nelle nostre società, esportano il Terrore delle nostre utopie rivoluzionarie e lo combinano con un'arcaica, tribale, crudeltà che viene dalla parte oscura dell'Islam. Per dirla con una formula storica e chimica, il loro fanatismo è il frullato di Saint-Just più la Setta degli assassini.
Dall'altra parte c'è la retorica delle porte aperte agli immigrati, alimentata da un partito irresponsabile e incoerente: lo stesso partito che per anni ha condannato il capitalismo per l'utopia dei consumi illimitati e per l'abuso illimitato delle risorse del pianeta. Ora, invece, sposa la causa assurda degli spazi illimitati e dell'accoglienza illimitata. Ma come si esauriscono i beni prodotti e le risorse naturali, così si esauriscono gli spazi, le città, i centri d'accoglienza e la capacità di far convivere radicali diversità. Le nostre isole, le nostre stazioni, le nostre città, le nostre periferie piene di immigrati vivono - per dirla nel loro linguaggio - la crescita infelice, ossia l'esplosione delle città invase da masse di sbandati.
La miscela che sta avvelenando la nostra civiltà è la nostra
depressione e la loro disperazione. Ci accomuna solo un punto: siamo ambedue sradicati. Loro abbandonano la loro terra, noi la nostra civiltà. E lo sradicamento produce in noi il nichilismo e in loro il fanatismo. Un mix letale.
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