Coronavirus

Aziende milanesi (e non) contro la burocrazia "Le mascherine? Le abbiamo, ma ci ignorano"

Confindustria tuona contro i blocchi nel processo di approvvigionamento

Aziende milanesi (e non) contro la burocrazia "Le mascherine? Le abbiamo, ma ci ignorano"

Mancano mascherine per i medici, per gli operatori sanitari, per chi lavora nelle fabbriche e nei servizi considerati essenziali, per i malati delle case di cura. Per tutti.

Ma la storia delle mascherine è diventata una farsa nella tragedia. L'ultimo a lanciare l'allarme è il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, che punta il dito contro la burocrazia. «Al di là delle chiacchiere servono fatti concreti - spiega Bonometti -. Purtroppo ancora oggi le dogane vietano di fare entrare questo materiale. Il Ministro degli Esteri intervenga presso le ambasciate e gli Stati da cui provengono i dispositivi. I blocchi e la centralizzazione della raccolta dei materiali rallentano l'intero processo di approvvigionamento. È guerra contro il tempo: la situazione in Lombardia è complicata».

Eppure le istituzioni fanno orecchie da mercante. Il Giornale aveva denunciato due giorni fa l'immobilismo della Regione Lombardia e della Protezione Civile alle quali un'azienda farmaceutica di Milano aveva offerto subito un milione e mezzo di mascherine monouso e N-95, che grazie a un partner cinese era riuscito a reperirle, garantendo poi un approvvigionamento settimanale di 100mila pezzi. Materiale certificato CE e prezzo suggerito dall'ufficio acquisti della regione. Ma nessuno si è fatto più sentire. «Nessun riscontro nemmeno dopo la segnalazione uscita sul vostro giornale - dice l'amministratrice dell'azienda, Alessandra Bagnasco - è molto triste, continuiamo a mandare i nostri medici a morire senza alcuna protezione».

Non è un caso isolato. «Quanto dichiara la regione sulla difficile reperibilità non è vero - racconta Massimo Borile -. Lavoro in una azienda che si occupa di materiale elettronico e da cittadino volevo dare un contributo, mettendo a disposizione mascherine che venivano offerte da un mio collaboratore cinese. Lo staff dell'assessore Gallera mi aveva chiesto l'invio della documentazione e della certificazione e sarebbero costate 81 centesimi al pezzo. Ho mandato tutto ed è calato il silenzio». Eppure c'è chi sarebbe pronto ad acquistarle per donarle. «La mia azienda le comprerebbe per regalarle a una Rsa a Garessio, dove 25 anziani sono positivi - tuona Simonetta Righetto, informatrice farmaceutica -. Ne abbiamo reperite parecchie su internet, ne abbiamo fatte cucire altre dalle sarte. Ma non bastano. Bisogna organizzarci tra privati o vedremo ancora tante persone morire».

Si attende, si rinvia e il coronavirus solo nelle ultime 24 ore ha ucciso 662 persone. Il divario tra produzione e necessità va sanato, invece si va a rallentatore, in attesa che parta la produzione in Italia. Ieri a Fiumicino è atterrato un volo Alitalia proveniente da Shanghai, con 3,5 milioni di pezzi. Ma è ancora una goccia nell'oceano.

«Il tema della mancanza delle mascherine c'è ed è un problema gigantesco - ammette l'assessore al Welfare, Giulio Gallera -. Chi doveva occuparsi degli approvvigionamenti per un'emergenza straordinaria non erano le regioni. Noi abbiamo sempre potuto acquistare presidi e beni in relazione all'attività ordinaria. La norma del 31 gennaio attribuiva alla Protezione Civile nazionale il compito. Abbiamo fatto ciò che potevamo fare. Purtroppo, alla fine siamo dovuti andare noi a cercare sul mercato internazionale. Dalla Protezione Civile nazionale ne sono arrivate in numero limitato». Ma lo scaricabarile ora non serve più.

Bisogna agire e in fretta.

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