Milano È un piccolo dizionario delle parole fraintese. Protagonista assoluta la «Dignità» del decreto Di Maio sul lavoro: stretta sui contratti a termine, licenziamenti con la nuova maxi-indennità di 36 mesi e penalizzazioni acuite per le aziende che trasferiscono le attività all'estero dopo aver ricevuto aiuti di Stato. Mariastella Gelmini, capogruppo azzurro alla Camera, con Maurizio Lupi e altri esponenti di Forza Italia e Noi con l'Italia, ne danno una lettura opposta, «più luci che ombre».
A Palazzo Marino, Milano, Lombardia, cuore del lavoro che c'è e delle imprese che protestano e chiedono correttivi, diventa il decreto che «trasforma i precari in disoccupati», secondo la definizione Gelmini. «Ma perché continuate a chiamarlo decreto Dignità? Dovete chiamarlo decreto indegnità» sbotta Carlo Fatuzzo, Partito dei pensionati. Per dire il clima. «Decreto follìa, non dignità» azzarda Lupi, coordinatore nazionale di NcI.
La richiesta a Matteo Salvini, alleato dei Cinque Stelle al governo, è ricordarsi da dove viene e schierarsi a fianco di Forza Italia nella battaglia che si prepara alla Camera, quando il testo arriverà per essere convertito in legge. «Chiederemo alla Lega una modifica di questo decreto oscurantista e anti-impresa che vogliamo stravolgere e rispedire al mittente. Diciamo a Di Maio di ripensarci» dice Gelmini.
Vocabolari che si scontrano. C'è la parola «voucher», abolita nella scorsa legislatura, che Forza Italia vuole rimettere al più presto in gioco. Tra gli emendamenti pronti a partire proprio la reintroduzione dei voucher, che portano la firma originaria di Marco Biagi («usati senza abusarne, per combattere il lavoro nero» spiega Gelmini), ritenuti particolarmente utili per i settori agricolo e turistico. E poi la proposta di «incentivi per i contratti a tempo indeterminato e non penalizzazioni per il lavoro a tempo determinato», perché «è giusto dare maggiore garanzia ai precari ma in un contesto di mercato».
La volontà dichiarata è rimettere al centro del dibattito l'occupazione, con le ferite profonde da curare soprattutto nelle aree fragili del Paese: «Il lavoro è una vera emergenza e non è un tema meno importante dell'immigrazione». Alti e allarmanti soprattutto i numeri sulla disoccupazione femminile al Sud, ma i dati Assolavoro, citati da Lupi, parlano di 70mila persone che perdono l'occupazione da un giorno all'altro a causa del decreto. E se si sommano le modifiche sul tempo determinato a quelle sul lavoro somministrato, il rischio stimato sarebbe di perdere 800mila posti di lavoro nel giro di qualche mese.
La deputata azzurra Cristina Rossello, avvocato e manager, insiste sulle conseguenze negative attese dal punto di vista legale: «Sono state create le condizioni per favorire il lavoro nero e alimentare il contenzioso tra aziende e lavoratori».
La sua previsione è che a causa delle «regole rigide» le liti saranno numerose e retroattive. Non è più tenera sulle «punizioni» per le aziende che lasciano l'Italia: «Sistema da dittatura che non appartiene alla nostra filosofia, destinato a essere solo uno spauracchio».
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