Guerra in Ucraina

La Babilonia dei pacifisti rossi

Il mondo pacifista di sinistra si è spaccato sul conflitto in Ucraina: ecco perché

La Babilonia dei pacifisti rossi

Sul modo di tradurre in pratica la parola magica “pace”, la sinistra italiana è spaccata in due come una mela. Da una parte la sinistra moderata, di fede atlantista; dall’altra la sinistra radicale, ossia i pacifisti di stretta osservanza. Sai che novità, si dirà. Ma la guerra in Ucraina non rappresenta che l’ultimo baco di un groviglio di contraddizioni, autoinganni e rimozioni che in realtà ne minano la tenuta politica, e anche psicologica, almeno da un paio di decenni. I fatti nudi e crudi forniscono una guida. Domani sabato 12 marzo il Partito Democratico,con il segretario Enrico Letta in testa, sfilerà compatto in una manifestazione a Firenze “in solidarietà con l’Ucraina e contro la guerra di Putin”, come ha twittato la responsabile esteri Lia Quartapelle. In collegamento video appariranno il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il sindaco di Kiev, Vitalij Klye’ko. Una sfilata tutta in proprio per marcare le differenze dal corteo di Roma del 5 marzo, che aveva radunato tutte le anime del serpentone arcobaleno (naturalmente divise fra loro, ci mancherebbe). Letta, infatti, ha l’urgenza di far sapere al mondo che in Italia la piazza non è monopolio di chi invoca la pace intesa come retorica “neutralità attiva”, a metà strada fra Nato e Russia.

Il Pd, e con esso tutto ciò che sta alla sua destra (Italia Viva di Renzi, Azione di Calenda, Più Europa), si schiera a fianco di Zelensky sostenendo convintamente l’invio di armamenti deciso dal governo Draghi, altro che equidistanze. E fin qui, tutto pacifico. Ma allora come si spiega la presenza della Cgil di Maurizio Landini in entrambe le adunate? Mentre la Cisl si era sfilata da quella di sabato scorso, giudicata troppo ambigua da Luigi Sbarra, il sindacato rosso è ubiqua. Il motivo è semplice: la Cgil è ormai da tempo la vera struttura portante, in termini di radicamento organizzativo, potenza numerica e capillarità di diffusione, di quell’entità eterogenea che è la sinistra italiana. Senza la sua adesione, nessuna adunata può aspirare a diventare oceanica. Fra i suoi iscritti non mancano tesserati del Pd, per lo meno della sua parte minoritaria erede alla lontana dei Ds (che non a caso, con Gianni Cuperlo e Peppe Provenzano, presenziavano accanto ad Alex Zanotelli e i pacifisti duri e puri). Ed è qua che veniamo a un primo nodo: oggi sul fronte bellico, come ieri sulle tensioni sociali e dei diritti del lavoro, l’uomo medio di sinistra convive in una scissione interiore permanente. La testa (e i compromessi) con i partiti moderati, il cuore e la pancia con il sindacatone baluardo di quel che resta della tradizione. A conti fatti, però, è in parlamento e a Palazzo Chigi che si decidono le sorti dei dossier. E lì, oggi, è Letta a tener banco. Semmai, dovendo tenere a bada uno spregiudicato Renzi, che una sua pattuglia di peones può manovrarla, più che impensierirsi per le parole d’ordine care al “popolo di sinistra”. In questo senso Leu, con il suo unico ministro Roberto Speranza, la piccola Leu che i rumors danno avviata all’inglobamento nel Pd, è la cartina di tornasole dell’impotenza di fatto di quella sinistra-sinistra ridotta pressocchè totalmente al movimentismo extraparlamentare.

Ma andando ancora più a fondo, è l’autosilenziamento dell’Anpi, l’associazione partigiana, a dare la misura della divisione ideologica profonda che ribolle sotto la superficie. All’indomani dello scoppio delle ostilità, il comunicato ufficiale della sigla più totemica a sinistra è stato uno schiaffo in piena faccia a chi vorrebbe darle una ben lucidata immagine di rassicurante occidentalismo, europeismo, americanismo. La colpa dell’invasione russa è da spartire con l’Alleanza Atlantica, è il succo della posizione dei guardiani della Resistenza. E guai a chiamare così la lotta dell’esercito e del popolo ucraino contro l’invasor, hanno puntualizzato via via altre voci molto ascoltate nell’area, come quella, molto seccata, della filosofa Donatella Di Cesare. Mentre la Cgil è il moloch che dà corpo alla sinistra, l’Anpi ne costituisce la giubba da sfoderare il 25 aprile e ogni qual volta il fantasma del fascismo eterno fa da garante e copertura a tutti, dai piddini ai neo-comunisti, così da ritrovare nelle memorie di ottant’anni fa una romantica identità minimale che altrimenti non ci sarebbe, da quando anche il metalmeccanico Cipputi di Altan ha dovuto abbracciare la flessibilità liberale. Cantare “Bella ciao” a squarciagola non basterà più, a chi pensa pace ma tambureggia guerra. Infine, se mai può esservi fine a questo caos, la caduta dei miti.

Uno era Massimo Cacciari, l’intellettuale per antonomasia per gli eredi del Pci e della sinistra Dc. Supponente ma con sostanza, cane sciolto quanto basta per arrischiarsi a unirsi ai No Green Pass (e anche qualche No Vax) nella Commissione Dubbio e Precauzione di Giorgio Agamben, Ugo Mattei e Carlo Freccero, il filosofo più amato dai talk è finito in una black list di presunti filo-putiniani stilata da un giornalista di prima linea nel campo di sinistra atlantica, Gianni Riotta. In realtà, Cacciari è reo di asserire tesi non dissimili da quelle dell’Anpi (e non solo, intendiamoci: sempre per stare sul versante compagni, dalle parti del Manifesto si fanno notare i reporter Andrea Negri e Manlio Dinucci, anche se quest’ultimo ha denunciato la censura di un suo articolo pure lì).

Il cortocircuito regna sovrano. Passando alla zona “artisti e star impegnate”, di norma e regola bastione di quella sedicente superiorità morale con cui certa sinistra copre le proprie vergogne, non si registrano invece dissonanze di nota. Addirittura Alessandro Gassmann, dalla sua trincea casalinga, tiene a far sapere che contribuisce alla sfida fra il Bene e il Male con il termostato appena sopra la tacca del raffreddore. Poi, per carità, a meno di non voler citare l’epico scontro a colpi di tweet fra Chef Rubio, della corrente pugno chiuso e tatuaggi, con David Parenzo, opinionista in permanente servizio radiotelevisivo: “patetico e imbarazzante”, “pirla Chef RUBLO”.

Livelli altissimi. Parafrasando un vecchio film sul sinistrismo radical-chic, a che ora si fa la pace? Si deve venire già mangiati?

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