Giuseppe Bassi
Taranto Non tutti erano rimasti in silenzio. Anzi, non soltanto qualcuno aveva parlato, ma c'è anche chi aveva deciso di mettere nero su bianco la descrizione del terrore quotidiano vissuto da quel pensionato finito nel mirino delle baby gang del paese. Il lancio di pietre contro l'abitazione, le incursioni di notte e all'alba, le aggressioni: è tutto contenuto in un esposto presentato alla polizia da un gruppo di sette vicini di casa di Antonio Stano, 66 anni, morto in ospedale dopo diciotto giorni di agonia. All'epoca gli agenti del commissariato di Manduria, trentamila abitanti, una quarantina di chilometri da Taranto, là dove si è consumata la tragedia di un uomo mite e indifeso, già avevano avviato indagini sul dramma del pensionato in balia delle gang del paese, aguzzini col volto dei bravi ragazzi che per cancellare la noia non esitavano a torturarlo.
Nell'esposto i residenti spiegano tra l'altro di aver raccolto le parole di Stano. «Ci ha riferito è scritto del documento che ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche»; inoltre nell'esposto si spiega che in una occasione i suoi aguzzini «sono riusciti anche a introdursi in casa» e si aggiunge che «tale condotta illecita lesiva della sicurezza e della quiete pubblica cagiona, inoltre, stati d'ansia, malessere e agitazione soprattutto nei minori residenti nel vicinato».
Per il momento gli indagati sono 14, solo due sono maggiorenni: non hanno legami con la criminalità, vanno a scuola, c'è chi fa qualche lavoretto, provengono da famiglie di commercianti, artigiani, professionisti, insegnanti. Eppure, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbero loro le belve che si davano appuntamento per accanirsi sul 66enne, che dopo una vita di lavoro all'Arsenale militare di Taranto se ne stava ormai barricato nella sua modesta casa di Manduria. Sulla porta e sulle finestre dell'abitazione sono ancora ben visibili i segni delle incursioni, che sarebbero andate avanti per sei anni.
Il 66enne sarebbe stato minacciato, picchiato, rapinato. La Procura per il tribunale per i minorenni e quella ordinaria ipotizzano a vario titolo i reati di omicidio preterintenzionale, stalking, violazione di domicilio, rapina, minacce e lesioni personali. «Non pensavamo di fargli male, volevamo solo scherzare, lo facevano tutti», dicono adesso quei ragazzi che tentano di giustificarsi e minimizzare mentre prima si scambiavano i video delle aggressioni sulla chat che avevano creato. «Gli orfanelli», così avevano chiamato quel gruppo whatsapp su cui viaggiavano immagini, messaggi, risate, faccine divertite.
Il pensionato, con problemi psichici, ormai viveva nel terrore: non mangiava più né si azzardava a uscire di casa, tirava avanti recluso in quella che era diventata una prigione di paura.
La polizia è entrata nel suo appartamento il 6 aprile, lui è stato ricoverato in ospedale, ma non ce l'ha fatta. Ieri è stata eseguita l'autopsia. E una «marcia per la civiltà» è stata organizzata da scuole, parrocchie, Confcommercio e Pro loco.
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