Bakhmut, la città-simbolo ora rischia di diventare il vicolo cieco di Zelensky

Impiegati nella difesa troppi uomini e troppe forze. E i russi bloccano le vie d'accesso

Bakhmut, la città-simbolo ora rischia di diventare il vicolo cieco di Zelensky

Volodymyr Zelensky s'intestardisce a chiamarla «la nostra fortezza» e a ripetere che «nessuno abbandonerà Bakhmut». Ma quella fortezza si rivela sempre più una dispendiosa e sanguinosa trappola capace di divorare, ogni giorno, le vite di centinaia di soldati ucraini. Soldati sottratti alla difesa di altre zone del fronte dove i russi, grazie al concluso dispiegamento di quasi trecentomila riservisti, riescono a sfondare le linee nemiche e ad avanzare. Ma partiamo da Bakhmut. «La città è sempre più isolata» - ammetteva ieri il bollettino quotidiano dell'intelligence britannica spiegando che le due principali strade di accesso- la M03 e la H32 - cruciali per i rifornimenti dei difensori sono «entrambe minacciate dal fuoco diretto» dei russi. E sempre stando all'intelligence inglese i combattenti della Wagner avrebbero preso anche il controllo «di un percorso subordinato che collega Bakhmut alla città di Seversk». Così mentre l'accerchiamento su Bakhmut, già completato sui lati nord, sud ed est sta per chiudersi anche sul versante occidentale Kiev si ritrova a far i conti con le offensive lanciate dai russi nella zona di Ugledar, a sud ovest di Donetsk, e in quella - a nord di Soledar - dove gli ucraini stanno perdendo i collegamenti con la città di Seversk vicina ormai a venir circondata dalle truppe di Mosca. Il tutto mentre il capo della Wagner Evgeny Prigozhin sembra ben lieto di compiacere il presidente ucraino elogiando la sua decisione di non abbandonare Bakhmut. «Gli ucraini non si stanno ritirando da nessuna parte» anzi - «stanno combattendo fino all'ultimo» - sottolineava ieri Prigozhin riferendo che nei quartieri settentrionali di Bakhmut «si combatte duramente in ogni strada casa e sottoscala». Dietro quelle dichiarazioni - rivolte in apparenza a smentire i media russi troppo precipitosi nell'annunciare la ritirata ucraina da Bakhmut - si nascondono obbiettivi anche meno evidenti. Da una parte Prigozhin punta ad amplificare i propri successi ricordando al Cremlino come le poche vittorie recenti siano merito esclusivo del suo esercito privato. Dall'altra l'elogio della resistenza nemica suona come un velato e subdolo invito a non mollare. Un invito in cui si «intravvede» il ruolo giocato dalla Wagner nei sei mesi di assedio alla «fortezza» Bakhmut. Sei mesi durante i quali Prigozhin ha potuto garantire i sanguinosi assalti alla città grazie alle vite, assolutamente spendibili, di migliaia di criminali reclutati nelle carceri. Il tutto mentre dall'altra parte Zelensky, e il suo capo di stato maggiore generale Valerii Zaluzhnyi, sacrificavano decine di migliaia di uomini per difendere una città trasformata erroneamente in un simbolo. Un trappolone ben compreso dagli americani che già a metà gennaio sottolineavano l'inutilità di concentrarsi sulla poco strategica difesa di Bakhmut sottraendo uomini e forze agli altri versanti del fronte. Ora gli errori di Zelensky e del suo Capo di stato maggiore emergono in tutta la loro gravità.

Sabato notte lo stesso presidente ucraino si è ritrovato costretto ad ammettere che la situazione è «molto difficile» non solo a Bakhmut, ma lungo tutto un fronte orientale dove la Russia sta dispiegando «sempre maggiori forze allo scopo di sfondare le nostre difese».

Insomma il presidente e i suoi generali, dopo aver sacrificato gli uomini migliori nell'inutile di difesa di Bakhmut rischiano di non averne abbastanza per bloccare l'imminente offensiva russa che punta alla conquista dei territori del Donetsk e del Lugansk ancora sotto il controllo di Kiev.

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