Economia

Banche a caccia di 20 miliardi per non finire in ginocchio

Tra aumenti di capitale e nodo sofferenze crescono gli interrogativi su chi sarà chiamato a mettere i soldi

Banche a caccia di 20 miliardi per non finire in ginocchio

Alle banche italiane mancano almeno 20 miliardi. È questo l'assegno da staccare nei prossimi mesi se il sistema del credito vuole rimettersi in piedi senza sacrificare uno dei suoi pilastri sull'altare del bail in.

Partiamo da Mps che sta correndo il Palio della salvezza. Arriverà un cavaliere super danaroso a risvegliare la bella addormentata senese dall'incubo bail-in? Vedremo. Di certo, giovedì a Siena i soci dovranno votare un aumento di capitale da 5 miliardi. E la cessione al fondo Atlante di 27 miliardi di sofferenze. Ma il mercato guarda già preoccupato alla vera banca sistemica, ovvero Unicredit, che il 13 dicembre presenterà il suo piano industriale e dirà quanto soldi le serviranno per non finire dietro alla lavagna della Bce - 13 miliardi come riferiscono gli ultimi rumors sul maxi aumento di capitale - o una cifra meno salata se la vendita di una parte dell'«argenteria» (Pioneer e Pekao) darà i frutti sperati all'ad Jean Pierre Mustier. Poi ci sono le quattro good banks: se, come si dice in Piazza Affari, giovedi Ubi formalizzerà l'offerta per rilevare almeno Etruria, Carichieti e Banca Marche, si stima che il sistema dovrà assorbire 1,8 miliardi di minusvalenze, cioè l'intero valore di carico delle quattro sul Fondo di risoluzione che dispone oggi di 760 milioni, troppo poco per gestire il contraccolpo. Anche il futuro delle due ex popolari venete salvate nei mesi scorsi dal fondo Atlante è tutt'altro che sereno: c'è chi scommette che a primavera servirà un altro miliardo per coprire le perdite 2016 della Popolare di Vicenza (ma la banca smentisce). Intanto Carige sta trattando con la Bce sul nodo di quasi 7 miliardi di crediti deteriorati per evitare un nuovo aumento di capitale che qualcuno stima attorno ai 500 milioni.

Totale: 21 miliardi. Calcolo approssimativo, sia chiaro. Nel frattempo gli istituti nostrani continuano ad essere percepiti come i più rischiosi in Europa. Il «Risk Outlook» della Consob pubblicato ieri mette in luce come a settembre i Cds (Credit Default Swap) delle banche italiane, i derivati che coprono dal rischio credito, fossero in media di 100 punti superiori a quelli europei. Altro, triste, primato: abbiamo la più elevata incidenza delle sofferenze sul totale dei crediti, «pur mostrando un tasso di copertura tra i più alti nel confronto europeo e una graduale riduzione dello stock degli altri crediti deteriorati», scrive Consob.

Chi metterà i soldi che mancano? Gli investitori che decideranno di sottoscrivere gli aumenti di capitale, i dipendenti (si stimano 90mila tagli per risparmiare) ma anche le stesse banche. Ovvero le otto big del sistema. In un solo anno il bail in è costato loro circa 5 miliardi di versamenti tra Fondo di risoluzione (3,6 miliardi), Fondo interbancario (400 milioni), Fondo volontario (finora 700 milioni), Fondo per gli obbligazionisti di Etruria & c. (200 milioni). Più gli oboli messi nel fondo Atlante cui hanno aderito tra gli altri Unicredit, Intesa, Mediolanum e Cdp. La Cassa controllata dal Tesoro si è inoltre impegnata a garantire fino a 1,7 miliardi laddove il Fondo di risoluzione non avesse risorse per coprire «gli oneri» del prestito ponte per il salvataggio delle quattro good bank in scadenza a maggio.

Ora servono altri quattrini e le polveri sono bagnate: le rettifiche sui crediti asciugano i conti anche di quelle più sane e non è un caso se alcune di esse hanno cominciato ad aumentare i costi dei conti correnti scaricando una parte del peso dei salvataggi sui clienti. A sostenere il peso del sistema è infine chiamato il fondo Atlante 2 che dovrà comprare per 1,7 miliardi la zavorra di 27 miliardi di euro di sofferenze di Mps.

Circa 900 milioni arrivano da Atlante 1, avanzati dopo gli aumenti di Pop Vicenza e Veneto Banca e dopo aver accantonato 800 milioni per un eventuale nuovo aiuto alle due venete.

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