Le due banche più inguaiate dai test della Bce sono anche le più antiche d'Italia. Ma il Monte dei Paschi di Siena e la Cassa di Risparmio di Genova sono anche le due banche nazionali - la terza e la dodicesima per totale degli attivi - che a dispetto dei tempi, delle regole e della crisi, sono rimaste sotto il controllo assoluto delle loro Fondazioni fino a pochi mesi fa. Un caso? Non pare proprio. Anche se non sono le Fondazioni in quanto tali a determinare il dissesto. Quello che sembra pacifico è piuttosto il fatto che, attraverso il sistema delle Fondazioni (che sono espressione diretta di Comuni, Province e Regioni), sia stata la politica a condizionare queste banche più di qualunque altra. Finite, quindi con l'operare non nell'interesse di tutti i loro azionisti e clienti, ma per quello di equilibri di potere del tutto estranei all'impresa bancaria. Eclatante il caso Mps, l'istituto senese i cui vertici sono stati regolarmente cooptati dalla politica locale e quindi dai vertici del partito storicamente dominante, il Pd, ex Ds, ex Pds, ex Pci. Giuseppe Mussari - l'ex presidente ora sotto processo, che nel 2007 ha deciso la scellerata acquisizione di Antonveneta dal Banco di Santander per 9 miliardi e che poi ha avallato le catastrofiche operazioni in derivati che hanno peggiorato la situazione - veniva proprio dalla presidenza della Fondazione Mps. E rappresentava la sintesi di affari e accordi di sistema tra politica e finanza. Gli stessi accordi e affari che pochi anni prima di Antonveneta e di Mussari avevano fatto saltare l'acquisizione della Bnl, operazione più logica e sana. Ma Bnl non avrebbe più garantito a Siena il pieno controllo della sua banca. Antonveneta invece sì, anche se sulla carta il risultato è stato quello che sappiamo: 12 miliardi bruciati negli ultimi sei anni e ancora ne mancano due; la Fondazione (che, ricordiamolo, è dei cittadini) passata dal 55% al 2,5% del capitale, ovvero da un patrimonio di oltre 30 miliardi a meno di 125 milioni. A Genova, dove la Cassa esiste dal 1483 (solo 11 dopo la fondazione del Monte) la Fondazione, espressione anche in questo caso di giunte di sinistra, ha tenuto le redini della banca con il 46% fin dal suo conferimento. Senza nulla potere nei confronti di Giovanni Berneschi, direttore generale dal 1989, ad dal 2000 e presidente dal 2003, arrestato l'estate scorsa per l'accusa di riciclaggio e favoreggiamento, che ha gestito la banca come fosse sua, in sintonia con il sistema politico e affaristico di Genova. E tenendo buona la Fondazione grazie ai dividendi distribuiti anche quando non sarebbe più stato opportuno. L'avventura nelle assicurazioni, gestita da Berneschi in prima persona con manager a lui fedeli, è costata un buco di un miliardo.
La banca genovese, appena ricapitalizzata per 800 milioni, deve ora trovarne altrettanti, mentre la sua Fondazione, che fino al 2009-2010 aveva in tasca 4 miliardi di valore, oggi si ritrova con 120 milioni e alla vigilia di un'ulteriore diluizione dall'attuale 12%.Se non è di sinistra eliminare l'articolo 18 o mettere in discussione il diritto di sciopero, forse non lo è nemmeno aver tollerato e coperto la sistematica spoliazione del patrimonio di tutti.
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