Porte chiuse in faccia. Da Francoforte a Bruxelles, la musica non cambia: il bail-in, la formula per il salvataggio delle banche con il concorso di azionisti e obbligazionisti, non si tocca.
Niente revisioni, né rinvii, come invece va reclamando l'Italia sia nella declinazione più soft del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che ne ha chiesto un'introduzione progressiva; sia in quella più tranchant di Abi e Confindustria, favorevoli a una bella rottamazione del provvedimento.Già era stato chiaro, qualche giorno fa, il presidente della Bce Mario Draghi: «Difficile pensare a una modifica del bail-in», aveva detto. «Non credo che occorra procedere alla revisione né delle regole sui meccanismi di risoluzione delle banche in crisi né di quelle sugli aiuti di Stato», gli ha fatto eco ieri, davanti al Parlamento europeo, la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager. Una totale sintonia con l'Eurotower che conferma il cambio di passo rispetto a un passato anche recente, quando gli interventi su 117 istituti in crisi in 22 Paesi erano costati, tra il 2007 e il 2015, 700 miliardi di euro di fondi pubblici. Allentare le nuove regole? «Non dobbiamo cedere a questa tentazione, altrimenti torneremo ad avere perdite che peseranno sulle spalle degli Stati e quindi dei contribuenti».
In tema di bail-in riveduto e corretto, l'Italia va quindi a sbattere contro un muro di gomma in un momento peraltro delicato. Domani saranno diffusi i rapporti della Commissione europea sugli squilibri macroeconomici, e Roma sarà inserita nella categoria dei Paesi con squilibri «importanti».
Non è quindi da escludere che Bruxelles invii al governo una lettera in cui si solleciti la necessità di fronteggiare in fretta i problemi più gravi, a cominciare dall'alto debito pubblico, dalla bassa crescita di produttività e dalla perdita di quote di mercato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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