Beccaria, ombre sui vertici del carcere. La Procura: "Sapevano delle violenze"

I pm: "Contributo doloso di figure con ruoli di garanzia dei detenuti". Gli agenti: "Abbandonati a noi stessi, incapaci di gestire la situazione"

Beccaria, ombre sui vertici del carcere. La Procura: "Sapevano delle violenze"
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«Abbandonati a noi stessi, senza adeguata formazione». Se per i tredici agenti arrestati per il «sistema» Beccaria sono iniziati ieri i primi interrogatori di garanzia in carcere, con loro che sostengono di «essersi lasciati andare» e di avere agito così per manifesta incapacità, c'è un'altra parte dell'inchiesta che deve ancora vedere la luce. Ed è quella, solo accennata nella richiesta di custodia cautelare in carcere, che riguarda le presunte «omissioni» da parte delle figure apicali. Perché da un lato non è possibile ignorare le parole del procuratore Marcello Viola, che ha giustamente parlato di «mancanza di adeguata formazione» del personale che lavora in carcere e che riporta a considerazioni più generali su un sistema che dovrebbe essere destinatario di attenzioni maggiori. E, dall'altro, andando più nello specifico dell'inchiesta, è anche lecito chiedersi se un metodo spacciato per «educativo» (leggi: violenze e soprusi) possa essere stato applicato in modo così sistematico e quotidiano senza il silenzio-assenso dei vertici.

Le pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, con l'aggiunta Maria Letizia Mannella, già tracciano alcune ipotesi nella loro richiesta di misura al gip, sottolineando che il modus operandi degli indagati «ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali, con posizione di garanzia effettiva nei confronti dei detenuti». Tra queste, viene evidenziato, per esempio il ruolo di un comandante della polizia penitenziaria indagato per falso, per avere sistemato alcune relazioni e in questo modo «ha agevolato, contribuito, favorito e coperto le condotte violente integranti i ripetuti maltrattamenti».

Agli atti dell'inchiesta figura, in due passaggi, anche il nome della ex direttrice facente funzioni Maria Vittoria Menenti, che risulta non indagata. È a Menenti, si legge nelle carte, che viene indirizzata la mail della madre di un ragazzo, che segnala alla direzione che il figlio aveva «segni di percosse» sul viso durante una videochiamata in cui le racconta di essere stato picchiato. La risposta arriverà dopo otto giorni, con rassicurazioni rispetto all'adozione di provvedimenti. Sempre lo stesso detenuto riferirà, alle pm, che la ex direttrice intervenne durante il pestaggio con gli agenti intimando loro di «togliere le manette» e di trasportarlo in infermeria. Quella mattina secondo il suo racconto - in tre lo avrebbero prima portato nell'ufficio del capoposto (senza telecamere) per poi bloccarlo e colpirlo a pugni in faccia.

Allo stesso modo, sempre dalle conversazioni riportate agli atti, si evince il cambio di passo avvenuto in carcere col cambio delle figure di vertice. Il nuovo direttore in particolare, si evince dalle intercettazioni, viene criticato duramente per non averli protetti abbastanza. «Tu sei il direttore, tu ci devi proteggere, punto. Per un marocchino di m...

che manco parla italiano», dicono intercettati. Ed ecco che anche la nuova comandante diventa oggetto degli strali di alcuni agenti perché «in relazione a quelle dinamiche non farà finta di nulla e prima di andare via rovinerà qualcuno».

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