Berlusconi e la strategia dell'alleato utile

Berlusconi e la strategia dell'alleato utile

Risollevare l'Italia dal ruolo d' «inutile» zerbino giocato quando Obama convocava a cena Matteo Renzi per strappargli qualche soldato in più in Afghanistan o in Irak. Risparmiarci lo spettacolo umiliante d'un Luigi Di Maio risvegliatosi neo-atlantista all'indomani dei missili sulla Siria. Ma soprattutto riprenderci il ruolo di alleato «utile» degli Usa. Ecco cos'intende Silvio Berlusconi quando chiede all'Italia di dotarsi in fretta di «un governo autorevole sul piano interno e internazionale» e ridiventare «interlocutore riconosciuto e capace di farsi ascoltare delle maggiori potenze».

È il ruolo che l'Italia ha svolto con Andreotti e Craxi. Il ruolo di un'Italia che negli anni '70 dialoga con i Paesi arabi vicini al Patto di Varsavia, ma resta amica degli Usa garantendo informazioni, mediazioni e conoscenze che un alleato zelantemente allineato non può fornire. È l'Italia di Bettino Craxi pronta a dialogare al telefono con Arafat e Reagan durante la crisi di Sigonella, ma anche a schierare i Carabinieri quando le Delta Force tentano di spadroneggiare a casa nostra. Un ruolo di alleato «critico» indispensabile per un Paese che non ha una vocazione bellica e non può imporsi come decisivo sul piano militare. Un ruolo che Berlusconi interpreta e rinnova a Pratica di Mare quando spinge al dialogo l'America di George W. Bush e la Russia di Vladimir Putin. Ma al di là di quel capolavoro, tutto il mandato di Berlusconi è caratterizzato dalla capacità d'intessere relazioni complesse. La Siria di Bashar Assad è, in quest'ottica, un fiore all'occhiello.

Con Berlusconi il nostro Paese diventa il primo partner europeo di Damasco. Posizione svenduta nel 2012 dal governo di Mario Monti che, all'apice della crisi italiana, si piega alle sanzioni Ue. I buoni rapporti con Damasco risulteranno fondamentali per gestire in sicurezza la complessa missione Unifil nel sud del Libano dove l'Italia guida in periodi decisivi i Caschi Blu incaricati di garantire, dopo la guerra del 2006, il precario cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah. La visita del presidente Napolitano che nel 2010 va a Damasco per insignire di un'alta onorificenza Bashar Assad, definendolo campione della laicità e difensore dei cristiani, è legata proprio ai rapporti con la Siria nell'ambito della partita libanese. Ma i governi Berlusconi ci garantiscono anche le migliori relazioni con Israele avviando proficui rapporti di collaborazione in campo militare, scientifico, ed economico di cui ancora beneficiamo. Il tutto senza limitare i rapporti con l'Iran dove, prima del 2012, siamo i secondi partner europei dopo Berlino. E nell'agosto 2008 l'Italia di Berlusconi è anche il mediatore che consente, grazie al filo diretto con Putin, di fermare il conflitto tra la Russia e la Georgia, alleata degli Stati Uniti. In Irak, invece, il comando italiano di Nassyria si rivela ponte indispensabile per il dialogo con le milizie sciite del sud del Paese. Un ruolo che consentirà all'Eni di sviluppare la presenza nella provincia di Bassora dove lo stabilimento di Zubair si sviluppa oggi su un'area di oltre 400 chilometri quadrati. In Afghanistan la presenza a Herat consente all'Italia di dialogare, a nome degli alleati, con l'Iran, un paese chiave per garantire la stabilità dell'intero paese.

Il secondo capolavoro del Cavaliere dopo Pratica di Mare è però la Libia. Lì l'Italia s'impone come principale partner economico e politico di Gheddafi.

Quel capolavoro ci procura però l'invidia perniciosa di Francia e Inghilterra che grazie alla complicità decisiva dell'allora presidente Giorgio Napolitano non esitano ad imporre all'Italia e ad un Berlusconi, indebolito a colpi di spread, una guerra suicida. Una guerra con cui amici e alleati pugnalano alla schiena un'Italia dimostratasi capace di valere e contare fin troppo.

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