Roma - A mancare è proprio la exit strategy. E a pensarla erano chiamati, a essere onesti, non coloro che speravano in una vittoria del Sì (espressione della direzione e della maggioranza del Pd), bensì quelli che avevano puntato tutto sulla vittoria del No. In buona sostanza lo scenario proposto dalla bocciatura referendaria della Riforma Boschi avrebbe dovuto vedere la minoranza dem pronta a mettere sul tavolo una ricetta plausibile e - soprattutto - capace di lenire il rancore che buona parte della base del partito sta provando per personaggi del calibro di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani. Rei, a detta dei più, di essersi accodati al corteo di giubilo di «vecchi e nuovi fascismi». È vero - come ripetono in molti dalle parti del Nazareno - che la personalizzazione del referendum da parte del premier ha portato come conseguenza più evidente la crisi di governo. La minoranza, però, avrebbe dovuto porre rimedio disegnando un «domani» possibile. E invece la sinistra Dem è incapace di andare oltre una classica Grosse koalition che in fin dei conti ricalca - ma in grande - quella stessa coalizione che fino a ieri ha caratterizzato la compagine governativa. Eppure Bersani e Roberto Speranza (leader della corrente Sinistra riformista che conta una quindicina di membri all'interno della Direzione) proprio non hanno mandato giù l'aiuto di Denis Verdini al governo Renzi, e l'hanno ribadito a ogni occasione utile. Così come hanno più volte storto il naso di fronte all'asse Renzi-Alfano. Oggi però Bersani non ha soluzioni. Soprattutto non ha idee alternative. Dice che si può votare anche il prossimo autunno perché la Consulta deve ancora pronunciarsi sull'Italicum. Lo stesso Bersani, che è stato sbeffeggiato dai grillini (nemmeno da Grillo) quando ha proposto loro un accordo di governo, oggi torna a proporre alleanze ampie di scopo (cioè riforma elettorale). Insomma la minoranza del Pd non partorisce idee originali. L'unica convinzione solida è quella di non voler uscire dal partito. Eppure buona parte della base è questo che chiede sfoderando quello stesso buon senso che per tanto tempo Bersani ha usato come stella polare del suo agire politico. Se la minoranza ha fatto perdere referendum e timone del Paese con la sua scelta - dicono i più - dovrebbe per buon senso farsi da parte e uscire. «Si facesse Renzi il suo partito - sbotta Bersani - da qui non mi muovo». Tutt'altro che logico visto che il segretario ha in mano il Pd con una maggioranza ampia. È di tutta evidenza che il redde rationem provocato dal No della minoranza del Pd ha solo uno scopo: chiudere il cerchio sulla «defenestrazione» di Enrico Letta.
Ed è lo stesso Bersani che la spiega con parole di buon senso: «Quando cadde il governo Letta non è che siamo andati a votare. Sono corso ad abbracciare Letta e a dare la fiducia a Renzi. Non è perché Renzi ha deciso di dimettersi deve venire giù l'Italia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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