Lucia Galli
Bologna Nel day after, di solito, tutti si proclamano vincitori. A Bologna è semmai vero il contrario: nessuno ha vinto, neppure i due che hanno conquistato il ballottaggio. Tutti hanno però «incassato il messaggio». Con un'affluenza sotto il 60%, per il 19 giugno sarà necessario ripartire daccapo. Non ha vinto Virginio Merola: non solo perché, 5 anni fa, gli erano bastati un solo turno e 800 voti più dell'avversario per insediarsi a palazzo D'Accursio. Il suo 39,5% si traduce in 69mila voti, rispetto agli oltre 100mila del primo mandato. Difficile festeggiare e lui lo ha ammesso: «Tutto il Pd ha accusato il colpo, anche qui eravamo preparati al ballottaggio». Supportato dal timido endorsement dal premier - «Possiamo ancora farcela» Merola rilancia: «È un referendum sull'idea di città che vogliamo lanciare». Però, dopo l'appoggio dato a ben altro referendum, quello promosso dalla Cgil contro il Jobs Act made by Renzi, i due sono separati in casa. E si vede. Se il Pd si lecca le ferite, il centrodestra non dovrà stare a guardare: Lucia Borgonzoni sgranava gli occhi alle prime proiezioni che la davano vicina a Merola. Poi i conteggi definitivi hanno realizzato un altro quadro, a tinte più scure: il suo 22,3% è un buon risultato - soprattutto per la Lega, vera forza motrice della sua coalizione ma per recuperare 18 punti non si potrà solo puntare sugli errori dell'avversario. E allora ecco la virata di bolina: «C'è il 60% dei bolognesi che non vuole più Merola attacca Borgonzoni temi più vicini alla sinistra di quelli portati dal Pd, li abbiamo noi in agenda». Chissà se Salvini, che pur si ripete orgogliosissimo, gradirà. Anche perché, fra il verde lega e il rosso storico della «Dotta», le tinte sono sbiadite. Borgonzoni ha chiesto un incontro diretto, Merola ha per ora declinato: «Ho la puzza sotto il naso e posso fare a meno anche di Renzi, è già di troppo una nuova visita di Salvini». Entrambi i candidati hanno puntato su temi quasi paralleli, dalla legalità, alla sicurezza, alla necessaria ripulitura del centro. Ma Bologna è sempre stata sinonimo di accoglienza, apertura, integrazione: se in San Petronio c'è posto perfino per un quadro che ritrae Maometto (ok, è rappresentato all'inferno), il consenso non si può più giocare solo sulla cacciata di rom e giovani che bivaccano in via Zamboni. Anche Irnerio, che 927 anni fondò l'Alma Mater, impallidirebbe di fronte ad un menù così ideologico ma di intenti limitati. No, la «Rossa», ha bisogno di una mano di colore e che si affrontino sfide da troppo rimandate. C'è la gestione di un aeroporto quotato in borsa, ormai troppo piccolo, ma soprattutto non collegato bene alla città. Occorre sbrigarsi nel realizzare sia il passante autostradale, sia il people mover, la navetta ferroviaria dalla stazione al terminal Marconi per il quale si stimano altri 2 anni di lavoro almeno. Infrastrutture invocate da decenni, tanto più ora che oltre alla Fiera, nel capoluogo, sta per arrivare Fico - Eatalyworld, il parco tematico targato Farinetti che potrebbe attrarre 6 milioni di visitatori l'anno.
Su questo giurano di voler lavorare sia Merola, sia Borgonzoni, anche se l'orizzonte di questi 15 giorni rende urgente provare a dialogare con gli esclusi: se i grillini, con il 16,59% di Bugani, non sono apertamente sul mercato, Borgonzoni potrebbe provare a ricucire lo strappo con Manes Bernardini, ex leghista che in dote porta un 10,4%. Vale invece un netto 7% il consenso del civico Federico Martelloni che ha cuore in Sel e troppi sassolini nelle scarpe per poter far pace con una sinistra così sbiadita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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