Bonafede riferisce ai social e rende inutile il Parlamento

Invece di illustrare le novità sulla giustizia ai deputati il ministro si collega su Facebook. Risse a Montecitorio

Bonafede riferisce ai social e rende inutile il Parlamento

C'è un ministro della Giustizia (di nome fa Alfonso Bonafede), chiamato a riferire in Parlamento, che invece lo diserta e annuncia modifiche al provvedimento in discussione in diretta Facebook, con cartelli al collo.

Ci sono presidenti di Commissione (Giulia Sarti e Giuseppe Brescia) che per tre lunghi giorni si rifiutano di pronunciarsi sulla ammissibilità di un emendamento (sulla prescrizione) palesemente inammissibile, perché estraneo alla materia della legge in discussione. E infine, spalle al muro, buttano la palla in corner, chiedendo che sia il presidente della Camera (si chiama Fico) a convocare la Giunta per il regolamento di Montecitorio per dirimere la questione.

E c'è il presidente medesimo che non convoca la Giunta ma manda una letterina ai presidenti di Commissione dicendo: fate un po' voi, decidete a maggioranza in commissione. Teorizzando in pratica che la maggioranza di turno possa interpretare, forzare o cambiare il Regolamento a colpi di voto in commissione.

Un incredibile intrico di palleggiamenti, ponziopilatismi, forzature, aggiramenti di norme, analfabetismi istituzionali, citazioni di precedenti inesistenti, e sostanziale, totale disprezzo per il ruolo del Parlamento, per non parlare di quello delle opposizioni. Per molto meno, nella scorsa legislatura, i Cinque stelle misero a ferro e fuoco aula e commissioni, assaltando fisicamente la presidente della Camera e i rappresentanti della maggioranza: «Se si sopprimono i diritti delle opposizioni il conflitto si sposta oltre le regole, e forse oltre il Parlamento», avvertì minacciosamente Gigino Di Maio il 30 gennaio 2014. E solo perché il governo tentava di far approvare in tempo un decreto che aboliva il pagamento di una rata Imu. «Un golpe». «La democrazia è morta». «È uno Stato di polizia»: così tuonarono Di Maio, la Sarti, Fico e molti altri che oggi sono al governo e cambiano idea: il Parlamento? Un inutile ingombro. Le opposizioni? Stessero zitte. La maggioranza? Può fare quel che le pare.

Così Bonafede, invitato da giorni a spiegare alla Camera la forzatura dell'emendamento che abolisce la prescrizione, ieri mattina faceva proclami di vittoria via Facebook dopo il vertice di maggioranza. Nelle commissioni, riunite proprio su quel provvedimento, scoppia la bagarre: un deputato Fdi collega il telefonino al microfono facendo sentire il ministro che conciona: «Incredibile, invece di venire qui fa comizi su Facebook». I commessi vengono spediti a strappargli il cellulare, le opposizioni protestano, si sfiora la rissa. La presidente Sarti (nota perché, beccata nella Rimborsopoli grillina, accusò il fidanzato di aver fatto di sua iniziativa la revoca dei bonifici, e pure di far circolare sue foto hard in rete), tenta nel parapiglia di mettere in votazione l'allargamento del ddl alla prescrizione, e sostiene sia passata la modifica. Forza Italia e Pd contestano il voto: «Erano tutti in piedi, non si capiva nulla: dire che c'è stato un sì è un falso».

Lo scontro si trasferisce in aula, con Sarti che accusa le opposizioni di aver aggredito i commessi, il Pd che la accusa di mentire e di aver «truccato il voto», Fi che occupa i banchi del governo. E intanto Fico, sul caso Bonafede/Facebook, si arrampica sugli specchi: «I ministri da sempre fanno dichiarazioni fuori dal Parlamento. Ma la prossima volta farò moral suasion». Quindi si può stare sereni.

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