Il boss tumulato in segreto tra la rabbia del paese

Il questore nega i funerali. Lacrime e lutto cittadino per i fratelli ammazzati per errore

Il boss tumulato in segreto tra la rabbia del paese

«La risposta durissima dello Stato» annunciata dal ministro dell'Interno, Marco Minniti, passa anche attraverso l'iconografia di un oblio. Ieri, per ordine del questore di Foggia, niente funerali per il boss ucciso, tumulato all'alba in gran segreto nel cimitero di Manfredonia per evitare le che esequie potessero trasformarsi, anch'esse, in un bagno di sangue.

E di sangue ne è già scorso tanto in questa brutta storia dove, mercoledì scorso, sotto i colpi dei sicari sono cadute, quattro persone: due delinquenti e due brave persone, eliminate perché testimoni scomodi o perché scambiate per guardiaspalle del boss. I killer non hanno avuto pietà: hanno ammazzato anche loro.

«Cittadini inermi e innocenti» li aveva definiti Minniti subito dopo la mattanza di San Marco in Lamis (Foggi); un massacro consumato tra le spighe gialle della Capitanata, riarse dal sole e insanguinate dagli uomini. Un'alba maledetta dove ad essere falciato non è stato il grano ma quattro vite. Esistenze diverse che si sono incrociate, perché il destino è anche fatto di bene e male che sfrecciano lungo la stessa strada.

Sembra di vederli. In un'auto sulla strada che collega San Marco in Lamis ad Apicena ci sono il boss Mario Luciano Romito, 50 anni, e il cognato che gli faceva da autista, Matteo De Palma, 44 anni; a seguirli, casualmente, è un Fiorino da lavoro con a bordo due fratelli: Luigi e Aurelio Luciani, rispettivamente di 47 e di 43 anni, entrambi contadini. Luigi e Aurelio stanno andando nel loro campo. Li attende vanga, piccone e, come sempre, tanto sudore. È la loro giornata-tipo. E invece ad attendere i fratelli c'è il drammatico fuoriprogramma che sancirà la loro fine.

La vettura con i sicari accosta l'auto di Romito e De Palma, la blocca, poi parte una scarica di colpi che non lascia scampo al boss e al cognato. Quando i due sono a terra, arriva anche il colpo di grazia alla nuca: la «firma» del delitto mafioso.

I fratelli Luciani sono a pochi metri. La scena dell'esecuzione gli si para davanti come un incubo. Il Fiorino passa a fianco al gruppo di fuoco e alle loro vittime appena giustiziate. Ma la corsa dura poco. I killer fanno sparano raffiche di kalashnikov anche contro di loro. Luigi e Aurelio sono feriti, ma ancora vivi. L'agonia dura qualche attimo. I loro corpi verranno ritrovati all'esterno del Fiorino, forse in un estremo, disperato, tentativo di fuga. L'autopsia conferma: «Inseguiti e giustiziati».

Ieri i loro funerali si sono celebrati in chiesa in un clima di rabbia e commozione: «Erano due persone oneste, è assurdo che siano morti in questo modo». A San Marco in Lamis è stato proclamato il lutto cittadino. Ma per questo lutto, l'aggettivo «cittadino» è decisamente limitativo: la morte dei fratelli è un lutto nazionale. Il ministro Minniti ha promesso l'invio in Puglia di 192 poliziotti. Il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe è fiducioso: «Un rinforzo che chiediamo da sempre. Qui la mafia è una cosa seria. Purtroppo ci è voluta quest'ultima mattanza per ottenere qualcosa».

Intanto i carabinieri hanno trovato bruciata l'auto usata dal commando: la carcassa era a pochi chilometri dal luogo del massacro, all'interno anche una pistola bruciata. Un simbolo di morte, abbandonato lì non a caso. Come minaccia alla famiglia del boss ucciso.

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