La Lega riscopre il federalismo. E Matteo frena sul populismo

Dopo il flop elettorale il segretario "cambia verso": meno tv e via alla commissione su politiche locali

La Lega riscopre il federalismo. E Matteo frena sul populismo

Primo: basta con la sovraesposizione mediatica. Secondo: meno frasi a effetto e slogan urlati. Terzo: la riscoperta del federalismo, accantonato da un po' nella speranza di trasformare la Lega in un partito a vocazione nazionale.

A via Bellerio i contraccolpi della tornata elettorale devono essersi fatti sentire parecchio se Matteo Salvini ha deciso di mettere in discussione molte delle sue certezze. Non che la sua sia una svolta moderata, ci mancherebbe. E magari si tratta semplicemente di una pausa di riflessione temporanea. Ma non c'è dubbio che ad oggi il leader della Lega stia rivedendo alcune delle sue certezze. A partire da quella che sia necessariamente un bene il presidiare h24 gli studi televisivi di tg e talk show. Così, è ormai un mesetto che la faccia di Salvini non spunta più con troppa frequenza ad ogni zapping. Un low profile che in queste settimane è coinciso anche con una certa prudenza verbale. Nel Carroccio c'è chi sostiene che la nuova linea sia figlia anche della Brexit, visto che una cosa è teorizzarla a parole l'uscita dall'Europa altra è metterla in pratica con i fatti. Ma in verità è probabile che abbiano avuto un peso gli eccessi dei mesi passati che alzano l'audience in tv quanto spaventano l'elettorato più moderato. Non è un caso che a Milano la Lega sia riuscita nell'impresa di farsi quasi doppiare da un partito in pessima salute come Forza Italia: 11,7% contro 20,2.

D'altra parte, che Salvini fosse andato un po' fuori giri lo avevano colto anche i suoi «amici» di Fratelli d'Italia, tanto che Giorgia Meloni nella campagna elettorale per il Campidoglio ha guardato più al centro proprio perché - teorizzava Fabio Rampelli - «il fronte lepenista e populista lo copre tutto Salvini». E oggi, passato un mese dalle elezioni, proprio dentro Fdi non hanno le idee chiare sul dove andare. Soprattutto non sono convinti che schiacciarsi su posizioni troppo nette sia la via maestra. Ecco perché nei giorni scorsi la Meloni ha consultato la base con un questionario on line. Tre possibilità: rafforzare FdI; dar vita ad un nuovo soggetto politico, modello Pdl, con le parti migliori del centrodestra; costruire insieme a Salvini un soggetto politico sul modello del Front national francese.

Ma la fase di riflessione di via Bellerio coinvolge, necessariamente, anche il progetto di «nazionalizzazione» del partito. Dopo il flop delle amministrative - Noi con Salvini a Roma si è fermato al 2,7% - c'è infatti chi insiste sulla necessità di ritrovare lo spirito originario, puntando il dito contro l'approccio troppo genericamente antisistema del leader del Carroccio. Così anche il federalismo - che Salvini aveva messo da parte insieme al resto della cosmogonia bossiana, dalla Padania al Dio Po - è tornato in auge. Non è un caso che il segretario della Lega abbia deciso di istituire un gruppo di lavoro di 15 persone, coordinato da Andrea Mascetti, che dovrà redigere il programma del Carroccio proprio sul federalismo. Per Salvini - che fino a un mese fa pensava ad un partito a vocazione nazionale, svincolato dalle battaglie locali del passato - è una decisa inversione di marcia.

E chissà che il cambio di passo non possa arrivare fino ad una riconsiderazione del ruolo di Umberto Bossi, oggi scientificamente messo all'angolo dai vertici della Lega che lo vorrebbero pensionare. Basti pensare che l'unico deputato a cui il capogruppo Massimiliano Fedriga non invia gli sms sul calendario dell'aula (con orari e indicazioni di voto) è proprio quel Bossi che la Lega l'ha inventata.

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