Bossi ruggisce ma resta fedele: "La Lega a pezzi senza di me"

Il Senatùr con la minoranza interna: "Salvini? Sbaglia. E il Carroccio non deve più cercare i voti dei naziskin"

Bossi ruggisce ma resta fedele: "La Lega a pezzi senza di me"

La fronda alza la voce. Nessuno vuole uscire dalla Lega a trazione salviniana, almeno per il momento, ma gli antisovranisti del Carroccio non ne possono più di un partito che ha cancellato le origini e considera Nord e Sud sullo stesso piano. Sei-settecento militanti, barbe, baffi, molti giovani, più qualche cane che abbaia furioso appena iniziano i lavori: si ritrovano tutti nelle gelide stanze del castello di Chignolo Po che nel lontano 1997 ospitò le sessioni del secondo parlamento padano.

Sfumature di nostalgia, dunque, ma c'è più rabbia nella platea che invoca, fra sventolii di bandiere, il nome di Umberto Bossi. E lui, il leader che Matteo Salvini ha messo in un angolo, arriva mentre un redivivo Roberto Cota, l'ex governatore del Piemonte sparito dai radar, sta scherzando sui ricordi: «Ci riunimmo e trovammo qua vent'anni fa. È tutto uguale, anche le sedie sono le stesse». È il partito che è cambiato, scoprendo una vocazione nazionale, ma fra questi torrioni la macchina del tempo sembra aver realizzato l'incantesimo: l'ultima stagione non conta, anzi è giudicata eretica da questa piccola folla, variopinta ma non folkloristica. «Io sono tornato a fare l'avvocato a Novara, la mia città», prosegue Cota ma i fan vogliono Bossi e alla fine il Senatùr si prende il microfono. «Qualcuno - attacca - mette in contrapposizione autonomia e indipendenza e invece sono in continuità». L'autonomia è una tappa verso l'indipendenza. «Adesso vediamo cosa porteremo a casa dopo aver vinto i referendum in Lombardia e Veneto. Questo è un passaggio importante: centomila imprese hanno chiuso e ci attende un anno molto difficile. Dobbiamo stare attenti a non fare la fine di Glasgow che dopo la chiusura dei grandi cantieri precipitò nelle classifiche della povertà, con un'impennata di drogati e alcolisti». Ma rompere il giocattolo, quello no. «Non me ne vado - ripete il Senatùr al Giornale - senza di me la Lega va in pezzi e fuori dalla Lega dove vai?». Anche se «Salvini sbaglia linea politica».

Nessuna fondazione o rifondazione del partito, nessuna scissione e nessun parcheggio in casa altrui, per esempio in Forza Italia. «No, non se ne parla», insiste il fondatore ormai emerito che invece non sembra escludere del tutto un'altra ipotesi tutta interna: quella di candidarsi alle prossime regionali nella lista del presidente Maroni che ha benedetto la manifestazione di Chignolo con un tweet. «Vedremo più avanti», risponde interlocutorio il Senatùr. Il vecchio leader, in grande forma, concede selfie a pacchi ai suoi discepoli e lancia pure un'altra stoccata all'odiato Salvini che ha ridimensionato il pericolo skinheads. Per Bossi non è così: «Diciamo che quei voti la Lega non deve cercarli. Io sono di una famiglia di antifascisti, antifascisti combattenti, non chiacchieroni. Mia cugina è morta sul Monte Rosa».

Affetto e commozione per il vecchio leone, ma senza voltare la testa all'indietro. Dal palco parla una lingua dura e predica una linea che non dimentica la mai risolta questione settentrionale ma si sofferma poi sulle più recenti amnesie della leadership salviniana. «Non abbiamo speso una parola sulla Catalogna», s'infiamma ancora Cota. «Noi siamo coerenti», urla travolto dai battimani l'influente deputato di Ravenna Gianluca Pini. E Gianni Fava, l'assessore del Pirellone e leader della minoranza bossiana, non fa sconti: «Non sento Salvini da un po', ma mi può pure andare bene purché faccia il leghista. Io non voglio morire postfascista, dentro uno Stato ingessato e centralista.

Bossi ha sempre detto no alle correnti, ma Salvini ci ha costretto a dare vita alla minoranza».

All'ultimo congresso la fronda guidata da Fava ha rastrellato il 18 per cento dei voti. Ma gli scontenti, anche dell'ultima generazione, aumentano. E in futuro, chissà.

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