Economia

Botte da orbi in Confindustria

Parte la corsa alla successione di Squinzi e nel primo test del nuovo corso i "piccoli" sgambettano Milano e Roma

Il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi durante l'Assemblea annuale dei soci di Confindustria
Il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi durante l'Assemblea annuale dei soci di Confindustria

La corsa per la prossima presidenza di Confindustria, che si deciderà nei primi mesi del 2016, è partita nel modo più clamoroso: con una secca sconfitta dell'aristocrazia dei grandi imprenditori italiani, guidata dalla potente Assolombarda, abituata a dare le carte e invece trovatasi in imprevista difficoltà. È questo l'esito politico dell'assemblea privata di Confindustria di settimana scorsa, che ha nominato il nuovo Consiglio Generale: l'organo introdotto dalla «riforma Pesenti», voluta dal presidente Giorgio Squinzi, che da ora governerà viale dell'Astronomia avendo mandato in pensione giunta e consiglio direttivo.

Squinzi ha davanti a sé l'ultimo dei quattro anni di mandato e non è rieleggibile. Come non lo saranno nemmeno gli altri ex presidenti. E, come da tradizione, l'ultimo anno del presidente uscente è anche quello che prepara la corsa e le trame che portano a individuare il suo successore. Il quale, a ben guardare, sarà anche il primo a insediarsi con il forte esecutivo Renzi in carica, particolarmente attivo su lavoro, tasse, pensioni.

Il Consiglio Generale, nominato ogni due anni, si compone di 178 membri, di cui però solo 20 eletti dai 1.451 membri dell'assemblea generale. La maggior parte degli altri (100) è assegnata di diritto alle associazioni di territorio e, in parte minore, di settore attraverso un meccanismo che assegna più seggi alle territoriali più forti in termini di aziende e di contributi. Tanto per intendersi, Assolombarda (cioè Milano) ne ha ben 12, seguita da Unindustria (Lazio, con 7) e Torino (5). Forte della presenza di grandi gruppi con molti dipendenti, già in passato, per prassi, Assolombarda aveva buon gioco a coordinare le elezioni nella giunta. Con il nuovo sistema, per assicurarsi il controllo della partita e dare anche un segnale chiaro e forte, era decisivo fare il pieno dei 20 membri elettivi. A tal fine Milano, guidata dal presidente Gianfelice Rocca, per il tramite il dg Michele Angelo Verna e in asse con Roma e con l'esperto ex presidente Aurelio Regina, ha compilato una lista di nomi d'intesa con un'importante dorsale di associazioni, tra cui Torino, Bergamo, Varese, Verona, Vicenza, Emilia Romagna, Napoli. Obiettivo: eleggere almeno 18 dei suoi nomi su 20. Risultato: di quella lista ne sarebbero passati solo nove. Contando, tra gli esclusi, 5-6 nomi di blasone industriale, come l'ad dell'Ibm di Milano Nicola Ciniero, o di censo confindustriale, quale la presidente dei torinesi Licia Mattioli.

In pratica è andato a buon fine il tentativo dei «ribelli» (gli esclusi dal listone) di sabotare l'operazione di Assolombarda. E qualcuno ha sicuramente tradito. Con il risultato che, alla prima prova elettiva del nuovo corso confindustriale, sono finiti in «fuori gioco» alcuni nomi che già circolavano per il dopo Squinzi, come lo stesso Rocca, ma anche Regina e Mattioli. Da notare che tra i ribelli si sono trovate importanti associazioni come le maggiori del Nord-Est, Vicenza e Treviso, il resto del Veneto, Friuli, Liguria, Marche, Umbria. Il segnale lanciato è preciso: Assolombarda e i suoi alleati non sono più gli «azionisti di maggioranza» in viale dell'Astronomia. Nonostante la mappa delle masse critiche uscita dalla riforma Pesenti abbia accorciato lo «stivale confindustriale» al livello di Napoli (più a sud non esiste nessun associato effettivo), una certa base imprenditoriale ha deciso di rifiutare con forza le vecchie logiche oligarchiche delle grandi aziende, pretendendo invece una maggiore democrazia confindustriale. Non solo, ma con il risultato dell'elezione dei 20 si è anche dimostrato che stare con i grandi non garantisce più la vittoria.

Con il nuovo corso è ora chiaro che per selezionare i candidati tra cui uscirà il prossimo presidente di Confindustria, anche i maggiori «azionisti» dovranno scendere a patti e trattare.

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