Botte da orbi e rischio scissione nel Pd. Bindi: "Renzi autoritario"

La minoranza Pd provoca il premier: "Sostituiteci in commissione". Poi il dietrofront. Serracchiani: "Non saremo vittime della premiata ditta Bindi-D'Alema"

Botte da orbi e rischio scissione nel Pd. Bindi: "Renzi autoritario"

L'ennesima resa dei conti all'interno del Pd. Ma, domenica, potrebbe essere quella finale. Perché ormai il rapporto tra Matteo Renzi e la minoranza democratica è burrascoso. La goccia che ha fatto traboccare il vaso risale a tre giorni fa, quando il governo è stato battuto due volte sulla riforma del Senato. Un segnale politico firmato dai dissidenti democratici che ha mandato su tutte le furie il premier il quale da Ankara ha tuonato: "Recupereremo in Aula perché non è possibile avere soluzioni pasticciate e perché questo era un segnale politico, così alcuni deputati hanno definito quel voto. Di segnali politici il Pd parlerà durante l'assemblea di sabato. La riforma andrà in aula a gennaio e rispetterà i termini previsti".

"Se la minoranza Pd vuole andare al voto, lo dica”, gli ha fatto eco il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Da lì è nata i toni si sono fatti molto accessi. In primis, con Massimo D’Alema che risponde: “Non minacci i parlamentari e pensi alla crisi del Paese”. E poi con le successive dichiarazioni infuocate che si sono susseguite da entrambe le parti. "Il nostro popolo ci ha affidato il compito di cambiare il Paese e non possiamo essere vittime di una guerra interna perché chi c’era prima vuole tornare a guidare il Pd. Vogliono bloccarci? Ci provino, noi proveremo a rinnovare il Paese fino all’ultimo giorno. Non finiremo vittime della premiata ditta Bindi-D'Alema", ha affermato il vicesegretario Pd Debora Serracchiani, intervistata dalla Stampa.

Dall'altro lato della barricata c'è una Rosy Bindi che tuona e pronuncia parole forti contro il premier: "Non ho intenzione di mandare a casa il governo né di andare via dal Pd che ho fondato, però ci vuole più condivisione delle scelte. Un partito di sinistra, che è al governo, non può essere così lontano dai problemi dei lavoratori e il successo dello sciopero generale ne è la dimostrazione. Non credo che Renzi stia facendo politiche di sinistra ma soprattutto è il metodo che rischia di creare conflitto nel paese: ogni giorno ci si inventa un nemico nuovo per giustificare atteggiamenti decisionistici e anche un po' autoritari".

Le ha fatto eco l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Il governo deve governare, la riforma costituzionale è prerogativa del Parlamento. Leggiamo oggi sui giornali di questo psicodramma a proposito di quanto succede in Parlamento sulla riforma costituzionale. Cerchiamo di metterci tranquilli: abbiamo altri problemi in giro. Il governo governi con il sostegno leale di tutto noi. Dopodiché non si è mai visto che le costituzioni le facciano i governi, in nessun posto al mondo le costituzioni le fanno i governi".

Anche un altro esponente della minoranza ha detto la sua: "Si sono fissate delle date certe per l’avanzamento delle riforme, quelle date devono essere rispettate e poi toccherà al Parlamento. Il governo riconosca che su temi come quelli costituzionali si tratta di materie parlamentari e quindi se la sbroglino lì. Non vedo la necessità di accendere fuochi. Nessun documento: parteciperemo alla discussione. Mi auguro che non si voglia trasformare l’assemblea in un’arena o corrida", spiega il deputato Pd Alfredo D’Attorre in vista dell'assemblea di domenica. Nel Pd circola il sospetto che la minoranza stia provocando Renzi e stia cercando la rottura. E per questo gli uomini del premier pare stiano tentando di convincerlo a non prestar loro il fianco e a tenere una linea più soft. Domenica si scoprirà qual è il limite della pazienza di Renzi.

Intanto però arriva un altro segnale politico dalla minoranza. I deputati del Pd in commissione Affari costituzionali della Camera hanno chiesto di essere sostituiti per le votazioni degli emendamenti alle riforme, essendo in dissenso ma non volendo mandare "sotto" il governo e i relatori. La decisione è stata presa al termine di una animata riunione, a cui ha preso parte anche il capogruppo Roberto Speranza, con momenti di tensione che ha portato alcuni deputati ad alzare la voce, come si è potuto sentire da fuori. L’intesa raggiunta è stata quella di evitare il ripetersi di episodi come quello di mercoledì scorso, quando governo e relatori sono "andati sotto" proprio per il voto della minoranza del Pd. I parlamentari della minoranza però, pur convenendo su questa esigenza, hanno confermato il proprio dissenso su alcuni punti essenziali della riforma. Di qui la richiesta da parte di alcuni di loro di essere sostituiti in queste ultime sedute della Commissione nelle quali verranno votate le norme su cui dissentono. Essi sono dunque rimasti nell’Aula della commissione Agricoltura, dove si svolgeva la riunione e che si trova davanti all’Aula della commissione Affari costituzionali. Tra essi Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Gianni Cuperlo, Roberta Agostini. Tuttavia, alla fine la minoranza ha fatto dietrofront ed è rientrata in commissione.

Anche Pippo Civati ha tuonato contro Renzi: "Se si presenta con il Jobs Act e con le cose che sta dicendo alle prossime elezioni non saremo candidati con lui. Se la legislatura proseguirà, noi abbiamo un programma e un progetto che si rivolge alle forze parlamentari senza guardare alla loro provenienza. Chi è d'accordo sottoscrive il patto e si vota di conseguenza in Parlamento. Quando si tratta di Costituzione non c'è la disciplina di partito, non c'è programma elettorale né di governo perché Renzi non ha mai scritto nulla. Quindi ci sentiamo responsabilmente liberi". E in serata, nel corso di un convegno a Bologna, puntualizza: "Io dal Pd non me ne vado con infamia da scissionista, ma c’è un limite, se si vota perché Renzi deve vincere con l’82%, se si vota a marzo con il programma del jobs act e delle cose che dice, io non mi candido con quella roba lì". Civati contesta duramente molte delle politiche del governo Renzi, a cominciare da quelle sulle riforme: "C’è una grande confusione, qualcuno ha parlato di Peronismo, ma a me sembra un peronismo tipo quello della birra...". Ed ha lanciato il patto repubblicano, una serie di impegni da sottoscrivere e sostenere in parlamento che riguardino legge elettorale, riforme, ma anche diritti civili, ambiente e scuola. "La sfida che propongo - ha detto - è quella di fare un vero programma di governo, con proposte firmate e sottoscritte da tutti in modo limpido, perchè verba volant - ha concluso con una battuta critica nei confronti della comunicazione del governo Renzi - ma anche slide scivolanti".

"Civati non deve aver mai letto

538em;">la favola Al lupo, al lupo - ironizza il senatore renziano Andrea Marcucci -.MA forza di dire che esce dal Pd, la sua credibilità sarà simile a quella del pastorello descritto da Esopo".

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