Botte da orbi tra i Radicali. Dopo lo sfratto accuse e controaccuse

Non c'è pace per la "galassia radicale", come Marco Pannella amava chiamare i soggetti che ruotavano intorno alla sua creatura politica. "Avete usato il congresso come una clava", gridano boniniani. La replica del Partito radicale trasnazionale: "Non è vero, chi parla di sfratto è in malafede"

Botte da orbi tra i Radicali. Dopo lo sfratto accuse e controaccuse

Veleni a non finire tra i radicali. O meglio, tra quel che resta del Partito Radicale. Giorni fa è uscita la notizia che il gruppo vicino a Emma Bonino (Radicali italiani) era stato sfrattato dalla storica sede romana di via di Torre Argentina. E stessa sorte è toccata alle associazioni "Luca Coscioni", "Certi Diritti" e "Non c’è pace senza giustizia". Oggi con una lunga nota arriva la risposta delle "vittime dello sfratto". Parlano di "atto conclusivo e simbolico di una scelta politica che tende a negare ai quattro soggetti politici e ai loro dirigenti, militanti e iscritti, ogni legittimità radicale e ad espellerli definitivamente dalla politica e dalla storia del partito attraverso la sospensione dello Statuto e la cancellazione, fuori da ogni regola, dello status di soggetti costituenti del Partito radicale".

Nella lunga missiva i Radicali italiani (e le altre associazioni) sottolineano che non intendono entrare nel merito "di una ricostruzione storica unilaterale e palesemente falsa di dissensi politici che pure ci sono stati come effetto di una crisi a cui non si è cercato e voluto dare insieme una risposta efficace... nell’abitudine di attendere parassitariamente le soluzioni da chi le aveva sempre trovate per tutti e non era più in grado di darle (Pannella, ndr)". E proseguono ricordando "a chi esibisce il deliberato del congresso di Rebibbia per giustificare una scelta di rottura e di espulsione di fatto già presente in quella mozione", che "in quella sede abbiamo proposto, in alternativa, di convocare una seconda sessione del congresso dopo alcuni mesi, occupando il tempo tra le due sessioni per lanciare una campagna di iscrizioni e affrontare un dibattito per salvare le ragioni e le speranze di un partito di cui con tutta evidenza nessuno attualmente è in grado di assicurare le basi materiali della sua transnazionalità e della sua transpartiticità: un dibattito tra tutti noi, ma aperto anche a tutti coloro che condividevano e condividono le nostre idee sul diritto internazionale e sovranazionale, sui pericoli per la democrazia e per i diritti umani ovunque nel mondo, sulla crisi e la debolezza della Patria europea per il rifiuto del federalismo, sulla deriva provocata da una globalizzazione tanto necessaria e inevitabile quanto non governata: quel dibattito avrebbe potuto essere, se lo si fosse voluto, la sede per affrontare un discussione seria sulla riforma statutaria del partito, per dare e trovare soluzioni unitarie, democratiche e federative a una galassia radicale, formatasi per atti e stratificazioni successive, fino ad allora tenuta insieme dalla leadership di Pannella e da un coordinamento statutario".

"Si è invece deciso di usare il congresso come una clava - denunciano i Radicali italiani - per operare un regolamento di conti e una politica di delegittimazione e di estromissione nei confronti di soggetti politici organizzati e di dirigenti e militanti che sono stati nel corso degli anni protagonisti delle più significative lotte del partito radicale. E lo si fa pretendendo di avvalersi e appropriarsi in maniera esclusiva di un patrimonio molto rilevante che costituisce un bene comune, gestito a garanzia di tutti e costruito dall’impegno di generazioni di militanti e dalle loro lotte condotte nel paese e nelle istituzioni". E si parla anche di Radio Radicale, "a cui si vorrebbe dettare il palinsesto. Non è solo un bene comune di tutti radicali, ma - nel panorama della nostra informazione - un patrimonio dell’intero paese. Rispondiamo a questa politica distruttiva e autodistruttiva - aggiungono i firmatari della lettera - opponendo i nostri obiettivi, le nostre iniziative radicali e radicalmente nonviolente, transnazionali e transpartite. Rispediamo al mittente le accuse che ci vengono rivolte di cedimento al regime. Poveri e privi di qualsiasi avere o struttura, apparentemente inermi nella nostra nonviolenza anche di fronte alla violenza non solo del e dei poteri ma anche di queste scelte, andremo avanti ostinatamente nelle nostre lotte confidando nelle iscrizioni, nel contributo, nel sostegno di tutti coloro che le condividono. In questo sapendo, senza alcuna pretesa di legittimità e di esclusività ereditaria, di essere nel solco tracciato dalla storia radicale, che cercheremo di proseguire creando forme e luoghi di agire comune con chi lo vorrà".

A stretto giro di posta arriva la replica del rappresentante legale del Partito Radicale, Maurizio Turco. "Fatta eccezione per uno dei firmatari del testo in questione, tutti gli altri, in quanto iscritti al Partito Radicale, sono intervenuti al 40° Congresso del Partito radicale convocato nel carcere romano di Rebibbia lo scorso settembre e tutti loro hanno presentato una mozione respinta dai 2/3 dei votanti. Successivamente, i Congressi delle associazioni, che li hanno eletti quali dirigenti, hanno stigmatizzato le scelte del congresso del Partito Radicale".

A chi sulla stampa "continua a parlare di espulsioni e sfratti", Turco risponde, in linea "con quanto già dichiarato", che "per sfrattare bisogna occupare un luogo e Emma Bonino sono diversi anni che non frequenta le sedi politiche del Partito Radicale, congresso compreso. Gli spazi occupati dalle associazioni sono occupati in virtù del fatto che il Partito Radicale si è indebitato per consentirgli di fare iniziative politiche anche a discapito della propria. Ma ora il Partito non può più permettersi di aumentare il debito, pertanto sarà la lista Pannella ad assumersi l’onere della sede. Avremo bisogno di spazi per la costituenda Fondazione Marco Pannella e per le numerose realtà associative che si stanno costituendo intorno agli obiettivi stabiliti dal Congresso".

Una triste storia di liti, ripicche e regolamenti di conti, quella dei Radicali. L'unico collante era Pannella. Scomparso lui, com'era facilmente intuibile, il "castello" ha iniziato a venire giù. Tesi confermata da uno dei vecchi segretari del partito, Giovanni Negri, che in un'intervista a La Stampa ha dichiarato: "Il Partito radicale è morto perché era un partito a misura di leader. Anche lo stesso Pannella non voleva ci fosse alcuna continuità. Dunque qualsiasi tentativo di tenere in vita il partito radicale risulterà un fallimento".

Ma è davvero così? Oppure una certa politica "radicale" riuscirà ad andare avanti attraverso nuovi soggetti (e nuove sigle), che se ne infischieranno delle liti di questi giorni? L'importante in politica è riuscire a incidere nella società. Serve soprattutto una cosa: i voti. Ma ovviamente ci vogliono anche i leader e le idee. Queste ultime ai radicali non mancano. Ma senza risorse umane (iscritti e simpatizzanti) si va poco lontano.

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